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La croce sopra al Campidoglio

La croce sopra al CampidoglioMarino ricevuto da papa Francesco in Vaticano – Lapresse

Le due sponde del Tevere Fin dall’elezione, le gerarchie ecclesiastiche hanno lavorato per logorare Marino. Il chirurgo cercò il papa per informarlo della trascrizione delle nozze omosessuali. Ma Bergoglio si negò ritenendola una provocazione. Il ruolo della comunità di Sant’Egidio, il cui fondatore, Riccardi, è stato già candidabile a sindaco

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 11 ottobre 2015

Nella vicenda della lenta agonia, fino all’annuncio delle dimissioni, del sindaco di Roma Ignazio Marino, alle gerarchie ecclesiastiche (Cei e Vicariato di Roma, più che Vaticano) e a parte dell’associazionismo cattolico (comunità di Sant’Egidio in testa) spetta un ruolo di primo piano. Non perché sia stato papa Francesco con le sue dichiarazioni «ad alta quota» di ritorno dall’America – «io non ho invitato il sindaco Marino a Philadelphia, chiaro?» – a determinare la caduta del primo cittadino, sebbene gli abbia assestato un duro colpo. Ma perché i vescovi hanno contribuito al suo logoramento cinque minuti dopo l’elezione. Anzi anche prima.

«Ci si interroga sulle possibili svolte della nuova trazione che potrebbe consegnare all’anima più laicista di largo del Nazareno lo scranno del Campidoglio», scriveva Avvenire all’indomani delle primarie vinte da Marino. E il giorno dopo lanciava l’allarme: «Campidoglio, rischio-deriva sui valori» a causa di «un certo tipo di impostazione sul versante etico, con potenziali ricadute sulle scelte di politica familiare».

Alla vigilia delle elezioni, poi, sempre Avvenire dava ampio spazio a un documento di una serie di associazioni (fra cui Forum associazioni familiari, Movimento per la vita, Compagnia delle opere, Alleanza cattolica) in cui la patente di «candidato cattolico» veniva assegnata a Gianni Alemanno, e Marino sonoramente bocciato.

All’indomani della vittoria del chirurgo, lo ammoniva ad evitare di «progettare e praticare forzature in sedi improprie» e ad «aprire campi di battaglia sulle questioni che investono valori primari». «Ci auguriamo che nessun sindaco si imbarchi in improvvide avventure antropologiche», ribadiva il Sir, l’agenzia dei vescovi, «non ci si fa eleggere per inventare nuovi diritti o metter su improvvisati laboratori sociali».

«Cattolico adulto» assai vicino al cardinal Martini – con cui pubblicò prima un lungo dialogo sull’Espresso e poi un libro (Credere e conoscere, Einaudi) di grande apertura su temi etici -, Ignazio Marino è agli antipodi della dottrina cattolica sui «principi non negoziabili», quindi assai temuto dalle gerarchie ecclesiastiche.

[do action=”citazione”]Il chirurgo cercò il papa per informarlo della trascrizione delle nozze omosessuali. Ma Bergoglio si negò ritenendola una provocazione[/do]

La questione esplode ad ottobre 2014, quando il sindaco trascrive nei registri comunali i matrimoni celebrati all’estero da 16 coppie omosessuali. «Scelta ideologica, che certifica un affronto istituzionale senza precedenti», tuona il Vicariato di Roma. E in queste ore si apprende che proprio il giorno prima delle trascrizioni, Marino telefonò in Vaticano per informare direttamente il papa, che però non parlò con il sindaco e anzi considerò quella telefonata quasi una provocazione.

Negli ultimi giorni il laccio si stringe, fino al soffocamento. Decisivo è “l’incidente” dell’invito-non invito a Philadelphia, sul quale monsignor Paglia – storica guida spirituale della Comunità di Sant’Egidio -, alla trasmissione radiofonica La zanzara, credendo di parlare con Matteo Renzi, dice parole durissime: «Marino si è imbucato, nessuno lo ha invitato, il papa era furibondo». Poco dopo, la Comunità di Sant’Egidio è fra i primi a sbugiardare il sindaco, smentendo che ad una cena registrata dai famosi scontrini siano stati presenti rappresentanti della Comunità, come invece asserito da Marino. Una posizione, quella di Sant’Egidio, che potrebbe nascondere qualche interesse: in passato il nome del fondatore Andrea Riccardi era emerso come possibile candidato a Roma, se ora rispuntasse fuori con più forza, sarebbero più chiare le ragioni per azzoppare Marino.

Annunciate le dimissioni, Oltretevere non si stracciano le vesti, anzi.

«Epilogo inevitabile», scrive L’Osservatore Romano, «la Capitale ha la certezza solo delle proprie macerie», «Roma davvero non merita tutto questo». «Adesso basta», aggiunge Avvenire, che saluta la chiusura di «una parentesi che non sembra destinata a lasciare un segno indelebile nella storia quasi trimillenaria di questa città», ora «Roma merita onestà e decisa cura». «Il tema di una nuova classe dirigente non è più rinviabile», diceva ieri sera in una parrocchia il cardinal Vallini, vicario del papa per Roma. E il Sir traccia l’identikit del nuovo primo cittadino di una città con una «missione storica, quella di porta di ingresso alla sede della cristianità».

Un sindaco cattolico quindi. Ma non come Marino.

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