La crisi ucraina ferma l’accordo sul nucleare iraniano
Il quinto round negoziale di Vienna, tra i cinque paesi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite con la Germania e le autorità iraniane, è fermo. A pesare sui colloqui […]
Il quinto round negoziale di Vienna, tra i cinque paesi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite con la Germania e le autorità iraniane, è fermo. A pesare sui colloqui […]
Il quinto round negoziale di Vienna, tra i cinque paesi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite con la Germania e le autorità iraniane, è fermo. A pesare sui colloqui per la stesura dell’intesa definitiva, prevista entro il 20 luglio, secondo l’accordo sottoscritto a Ginevra il 24 novembre scorso, sono gli effetti della crisi in Ucraina. Se l’Ue parla di confronto «molto difficile», il presidente iraniano Rohani ha assicurato che Tehran «non ha niente da offrire ad eccezione della trasparenza».
E così il riavvicinamento tra Usa e Iran è sempre più incerto. Chiediamo al professor Sami Zubaida, storico dell’Università di Londra (Birkbeck), quali conseguenze il disgelo tra i due paesi potrebbe avere sullo scontro tra sciiti e sunniti. «Il riavvicinamento Usa-Iran è positivo ma non ha portato ancora a molto. Lo scontro settario tra sciiti e sunniti è imposto dall’alto nella regione. Il regime saudita contrasta ogni opposizione (iraniana e sciita) come tentativo strategico di contenere qualsiasi sfida a Ryad e alla sua legittimità politica», inizia l’autore di Islam, il popolo e lo stato (1993). «Il riavvicinamento con Tehran corrisponde alla strategia Usa di disinnescare le tensioni nella regione e impedire al l’Iran di dotarsi di un’arma nucleare. Per Israele e Arabia saudita l’Iran resta un nemico comune e ogni riavvicinamento con Tehran è una minaccia per i loro interessi. E così, le lobby israeliane nel Congresso Usa lavorano con l’obiettivo di sabotare le politiche di Barack Obama in Medio oriente».
Anche i tecnocrati di Rohani stanno tentando di riavvicinarsi all’Arabia saudita come i riformisti di Mohammed Khatami. «I moderati iraniani tentano di disinnescare le tensioni nella regione ma si concentrano più su riforme economiche e fronteggiano la durissima opposizione dei radicali, vicini a pasdaran e all’ex presidente Ahmadinejad. Eppure non ci sono cambiamenti significativi nelle relazioni tra i due paesi. La svolta sciita di Bagdad esacerba le preoccupazioni saudite. Iran e Iraq sono ancora percepiti come una minaccia da sauditi e paesi del Golfo», aggiunge Zubaida. L’altra minaccia per i sauditi sono i Fratelli musulmani, messi al bando a Ryad.
«La Fratellanza, e il suo islamismo repubblicano, mette a repentaglio la legittimità dell’assolutismo islamico o l’autorità reale islamica della monarchia saudita». La svolta moderata di Tehran potrebbe ridimensionare l’accordo tra Iran e movimento sciita libanese Hezbollah. «I tecnocrati non controllano le politiche iraniane nei confronti di Hezbollah, che restano nelle mani dei conservatori e della guida suprema, Ali Khamenei. D’altra parte, il movimento non è uno strumento nelle mani di Tehran ma persegue i suoi interessi nella politica libanese. Ovviamente Siria e Hezbollah sono i soli alleati di Tehran nella regione e nessun avvicendamento al governo potrà incidere su questo», conclude Zubaida.
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