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La crisi spiazza la destra ma anche la sinistra

La crisi spiazza la destra ma anche la sinistraLa protesta dei lavoratori di cultura e spettacolo a Napoli

Pandemia La pandemia ha aumentato le disuguaglianze, che in autunno potrebbero esplodere in malessere. La destra si prepara a cavalcarlo, ma è compito della sinistra individuare le nuove fratture sociali e la direzione che dovrebbero avere gli interventi del governo

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 14 luglio 2020

La pandemia, dice l’Istat, ha aggravato le disuguaglianze e colpito soprattutto i soggetti più fragili. Questa prima lettura rafforza la previsione che in autunno possa esplodere il malessere. La destra si appresta a cavalcarlo, il governo a reperire risorse per attenuarlo. A chi se non alla sinistra il compito di individuare le nuove fratture sociali, aggiornare le mappe delle disuguaglianze, rappresentarne i nuovi soggetti, offrire sbocchi al malessere?

 

E quello di interagire con le tante energie, soprattutto giovanili, impegnate nel volontariato e nei movimenti ambientalisti, perché escano dai rispettivi gusci ed affrontino da protagonisti la sfida di un ricambio generazionale della politica? La mia impressione è che la pandemia imponga a tutti un aggiornamento degli schemi di lettura della società. Lo impone alla destra, sicura che la battuta di arresto della globalizzazione avrebbe ricompattato i corpi sociali riproponendo schemi binari elementari già collaudati: italiani contro stranieri, noi e gli altri e, naturalmente, prima noi. Ma la gente, anche quella di destra, ha ben altri problemi cui pensare e molla anche Salvini per rifugiarsi nella nostalgia del tempo che fu.

Lo impone anche alla sinistra che pur dispone di schemi più ricchi ed articolati: diversità e disuguaglianze, di genere, di generazioni e territoriali e loro concrete manifestazioni nei campi della salute, istruzione, qualità ambientale e relazionali. Ma, ciò malgrado, essa non appare capace di presenza e mobilitazione sociale perché la pandemia non ha agito solo accentuando i divari esistenti tra alto e basso della scala sociale tradizionale, ma ne ha creati di nuovi che ancora non cogliamo. Ad esempio ha tagliato in tre segmenti verticali tutte le categorie scavando fossati tra persone e settori pesantemente colpiti, altri toccati solo parzialmente e temporaneamente, altri ancora che dalla pandemia hanno addirittura tratto profitti.

E le stesse prime risposte di emergenza date dal governo con garanzie al credito, bonus vari, attivazione di strumenti di tutela contrattuali ed altro, se sul piano oggettivo hanno potuto attenuare l’impatto della crisi, su quello soggettivo hanno prodotto sentimenti di esclusione, di comparazione e di invidia sociale per i privilegi di chi ha più potere di condizionamento (vedi la scandalosa eliminazione dell’Irap dovuta sui redditi dell’anno precedente a prescindere dall’impatto della crisi). Queste nuove fratture si intrecciano con quelle preesistenti e configurano sempre di più una società spezzatino, fatta di gruppi sempre più piccoli e di individui sempre più soli.

Come reagirà nel perdurare della crisi questo nuovo reticolato sociale a maglie sempre più fitte che imprigionano ed escludono? E, soprattutto, come evitare di consegnare alla destra il potenziale di rabbia implicito? A queste domande c’è, credo, una sola risposta: progettare e proporre un modello di sviluppo che ricomponga un tessuto sociale lacerato e traduca e proietti rabbia e delusioni in speranze di cambiamento possibile.

Belle parole, ma non credibili se affidate a ceti politici logorati, in quarantena intellettuale da un bel po’ di anni. E forse anche da questo deriva il consenso all’impegno di Conte ed all’originale connubio tra generosità e tendenze accentratrici. Ma qui non ci si può fermare attestandosi, come purtroppo sta accadendo, sul politicismo miope delle prossime elezioni, sul rubacchiarsi i pochi consensi di chi vota senza pensare ai tanti giovani che non votano o ancora non votano. Né ci si può limitare a una difesa d’ufficio di Conte che sa tanto di ipocrisia. Serve uno scatto nuovo e potente nel comparto progressista della società. Ma siamo nella condizione del cane che si morde la coda: la crisi della politica scoraggia i movimenti, la debolezza dei movimenti non rinnova la politica.

Si apre qui un capitolo tutto da declinare. Intanto occorre prendere onestamente atto che, oggi come oggi, non ci sono alternative a Conte. Secondo: non rinunciare ad una funzione autonoma per influenzarne le scelte. Ma questa non può ridursi alle sollecitazioni a fare presto a prescindere. Occorre decidere quale direzione, quale senso di marcia imprimere all’azione del governo.

I megaindirizzi che guideranno l’erogazione dei fondi europei sono, nella loro genericità, condivisibili. Ma il governo sarà sollecitato in direzioni diverse dai gruppi di pressione. Da sinistra occorrerebbe esercitare una pressione in una unica direzione: tutti gli interventi vanno misurati con i redditi e con i lavori che generano. Più lavoro e più redditi. Questi dovrebbero essere i due binari paralleli sui quali marciare verso il futuro indirizzando e misurando l’azione del governo e cercando di parlare ai soggetti che popolano le diverse caselle del nuovo reticolato. Soggetti politici (a quando un segno di vita del gruppo parlamentare di Liberi ed uguali pur presente in parlamento e nei sondaggi?) sindacati e movimenti possono spendersi per questi obiettivi? O aspettiamo che il Conte che critichiamo faccia il miracolo di rimediare alle nostre debolezze contando sulla sua vicinanza a Padre pio?

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