Economia

La crisi «sfratta» il colosso degli affitti brevi, licenziati quasi 2 mila dipendenti

La crisi «sfratta» il colosso degli affitti brevi, licenziati quasi 2 mila dipendenti

Airbnb, il business è fermo e gli host abbandonano la piattaforma L’annuncio della multinazionale Usa ai dipendenti: fatturato a picco ma ci riprenderemo

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 9 maggio 2020

Airbnb è in ginocchio: l’emergenza Covid-19 ha stoppato la corsa e la crescita della società nata in California nel 2008, che a metà 2019 era arrivata ad offrire 7 milioni di soluzioni abitative in 100mila città in tutto il mondo. Per capirlo basterebbe farsi un giro sui portali che offrono immobili in affitto, guardando a città come Milano: sono numerosi gli appartamenti che sono tornati disponibili sul mercato e si presentan con un look e un portfolio immagini da affitto breve (asciugamani piegati sul letto, cucine asettiche).

La situazione è ancor più palese leggendo la lettera aperta indirizzata ai dipendenti Airbnb da Brian Chesky, co-fondatore e CEO della società: «Per il 2020, prevediamo una diminuzione del fatturato di oltre il 50% rispetto al 2019» ha scritto. Il documento è stato condiviso anche con gli host italiani, nella notte tra il 7 e l’8 maggio. L’oggetto della mail è «Aggiornamento importante su Airbnb», e annuncia il licenziamento di 1.900 persone, oltre il 25% del totale delle forza lavoro. Misure necessarie – scrive Chesky – , a causa di due «verità scomode». La prima? «Non sappiamo di preciso quando potremo tornare a viaggiare». La seconda? «Anche quando ricominceremo a farlo, viaggiare sarà diverso».

Per questo, argomenta il Ceo di Airbnb, «dato che non possiamo più permetterci tutto quello che facevamo una volta, abbiamo dovuto effettuare dei tagli per adattarci alle nostre nuove attività più mirate».

Secondo Chesky, Airbnb si riprenderà del tutto da questa crisi, ma lo farà subendo cambiamenti che non saranno temporanei e nemmeno di breve durata. «Abbiamo bisogno di apportare modifiche radicali alla nostra azienda, riducendo il numero di dipendenti per seguire una strategia aziendale più mirata» scrive. E ancora, per descrivere il nuovo turismo, spiega che «le persone cercheranno opzioni più vicine a casa, più sicure e più convenienti», oltre a muoversi alla ricerca di connessioni, quelle che erano – almeno idealmente – alla base del «modello Airbnb».

La crisi – secondo Chesky – «ci chiede di tornare alle origini, al principio di tutto, a ciò che davvero rende Airbnb speciale: le persone comuni che ogni giorno mettono a disposizione i propri alloggi e le proprie esperienze».

Guardando ai dati pubblicati dal portale Inside Airbnb uno si rende conto che questo spirito è ben lontano. A Milano, ad esempio, oltre il 75 % Degli alloggi offerti sono classificati come «Intera casa/appartamento a disposizione», a cui si aggiunge un buon numero di camere di hotel. Il database però dà un’indicazione: c’è stato un delisting del 3 per cento, tra il 18 febbraio 2020 e la fine di aprile.

Gli host urbani sanno che non tutto andrà bene, non per loro almeno. Che le parole di Chesky sono retoriche: «Agli esordi di Airbnb, il nostro motto era “Travel like a human” (in pratica, il lato umano del viaggio). Questo perché la componente umana, per noi, è sempre stata più importante, rispetto a quella del viaggio. Ciò che ci interessa di più è il senso di appartenenza, il cui centro risiede nell’amore».

È quest’amore che porta a ridurre gli investimenti in attività che non supportano direttamente il nucleo centrale della nostra community di host, e lo è anche – nel pieno di una crisi sanitaria globale di durata ancora sconosciuta – la scelta di «aiutare chi lascerà l’azienda a sostenere eventuali spese associate». Agli ex dipendenti residenti negli Stati Uniti, così, la società offre una copertura assicurativa di 12 mesi tramite COBRA.

Ai dipendenti licenziati residenti in tutti gli altri Paesi, invece, Airbnb offrirà una copertura assicurativa fino alla fine del 2020. «Forniremo inoltre una copertura di 4 mesi per i servizi dedicati alla salute mentale tramite KonTerra».

Tanto amore ha un costo: la lettera di Chesky è del 5 maggio, e spiega che «l’ultimo giorno di lavoro dei dipendenti che ci lasceranno negli Stati Uniti e in Canada sarà lunedì 11 maggio. Abbiamo scelto questa data per dare a tutti il tempo necessario per prepararsi e salutare i colleghi, dato che siamo consapevoli e rispettiamo quanto sia importante».

Il tempo necessario: appena sei giorni di preavviso, compresi un sabato e una domenica.

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