La crisi non è uguale per tutti: colpisce operai, giovani, disoccupati
Istat Perché i poveri aumentano con l’austerità e non diminuiscono con gli 80 euro del «Bonus Irpef» del governo
Istat Perché i poveri aumentano con l’austerità e non diminuiscono con gli 80 euro del «Bonus Irpef» del governo
La crisi non è uguale per tutti. Colpisce soprattutto operai, disoccupati e giovani, ma anche gli impiegati. Sono queste le categorie più esposte all’azione dei governi alternatisi sotto l’insegna dell’austerità, governo Renzi incluso. Tra l’inizio del 2008 e la fine del 2014, si legge nel rapporto «Povertà in Italia 2014» dell’Istat, l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie dove il capofamiglia ha una qualifica di operaio ha raggiunto il 9.6% (era 1,7% a fine 2007).
La quota di famiglie in stato di deprivazione materiale con persona di riferimento disoccupata è ancora al 15,6%, nonostante ci sia stata una diminuzione significativa nell’ultimo anno. Allo stesso tempo è aumentata la percentuale di famiglie di lavoratori in proprio in povertà assoluta (5,2%) e quella di impiegati e dirigenti, nonostante la quota per questi ultimi rimanga notevolmente inferiore alle prime due (1,6%). Nonostante gli 80 euro, nell’ultimo anno la povertà è dunque diminuita in modo statisticamente significativo solo per le famiglie dei disoccupati, mentre per tutte le altre, operaie e ceto medio impoverito (impiegati, lavoratori autonomi), la quota è stabile, se non addirittura in aumento. Ma del resto, l’intenzione del governo Renzi, attraverso il decreto Irpef, non era quello di combattere la povertà assoluta, fenomeno del tutto ignorato.
Tra le famiglie più povere vi sono quelle miste composte da cittadini italiani e stranieri, e quelle più numerose. Il confronto tra classi di età mostra la diminuzione dell’incidenza della povertà assoluta al crescere dell’età del capofamiglia e mostra differenze notevoli tra gli under 34 e gli over 55 dove chi riesce a stento a soddisfare bisogni di spesa primari è rispettivamente 8.3% e 4,6%. Soffermarsi sull’evoluzione della povertà assoluta, rispetto a quella relativa, aiuta a comprendere se le risorse economiche a disposizione di individui e famiglie siano o meno sufficienti a mantenere uno standard minimo di consumo indipendentemente dalle disuguaglianze socio-economiche.
La povertà assoluta dipende solo dalle risorse proprie e non dalla distanza tra queste e quelle a disposizione di un altro gruppo di famiglie o individui, da cui invece dipende quella relativa. Le disuguaglianze restano un argomento prioritario per l’azione di governo,anche se quello attuale continua a ignorarlo.
Quando si parla di condizioni di vita è importante sottolineare che il loro peggioramento, misurato dalla diffusione della povertà assoluta, ha subito l’aumento più che significativo tra il 2011 e il 2012 quando in Italia è stata imposta la politica di austerità dal governo Monti con l’unanime assenso dalla maggioranza delle larghe intese, quella che in versione «mini» si trova ancora al governo. In quell’anno, il numero di persone che non riuscivano a consumare il paniere di beni essenziali – così definito dall’Istat – è aumentato del 34%, pari a un milione di persone. Aumento che coinvolse le fasce della popolazione considerate storicamente più a rischio, quelle con il capo famiglia con un livello di istruzione secondario (dal 4,7 al 7,2 per cento), e quelle con titoli di studio più elevati che videro quasi raddoppiare la quota di poveri assoluti (da 1,6 a 2,5 per cento).
Solo un mese fa l’Ocse ha ricordato che l’Italia, insieme alla Grecia, è l’unico paese membro dell’Unione Europea, ad aggravare la condizione di povertà dei lavoratori precari con le sue politiche fiscali. Sarebbe il caso che Renzi ascoltasse queste indicazioni quando parla di «svolta oggettiva nella crescita».
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