A vederla, ancora una volta, la storia che ci racconta Tovaglia a quadri può sembrare a prima vista una «favola locale» accanto al camino, narrata certo da una nonna molto avveduta e «aggiornata» su tecnologie e geopolitica. Ma è proprio quel candore apparente (in realtà finemente costruito) a rendere ancora più crudele e severo il pensiero che da quell’intreccio traspare quando, e solo alla fine, tra i dolci casalinghi che concludono trionfalmente la cena, tornano in mente battute e situazioni e citazioni che nel racconto si sono magari nascosti nelle pieghe dei dialoghi.

Via da noi è il titolo dello spettacolo che Tovaglia a quadri mette in tavola alla sua ventunesima edizione. Sempre scritto da Paolo Pennacchini e Andrea Merendelli (che come al solito ha curato anche la regia). Il racconto si sviluppa in scena tra una portata e l’altra di una cena tipica toscana, anzi della Valtiberina, perché il campanile è notoriamente rigido, in cucina come in politica.Sulla piazzola meravigliosa del Poggiolino (affacciata sulla piana della battaglia che anche Leonardo dipinse, senza lasciarne poi traccia alcuna) una mano ignota ha corretto la targa topografica «Via della Toscana» in «Via dalla Toscana». E la scissione, o la richiesta di autonomia, o ancora l’adesione a un altro ente territoriale, sono divenuti fondamenti correnti delle più disparate ideologie e fazioni. In Toscana c’è in gioco la posta dell’attrazione turistica, fonte potente di reddito che inchioda spesso questa terra a un retaggio di tradizioni e osservanze che sfidano la banalità più vieta della cartolina, appoggiate su regole e legislazioni che dalla nascita evoluta precipitano nella promozione consumistica. Le spinte al frazionamento da parte loro celano malamente interessi piccini, che rasentano il raggiro.

Sarebbe pura teoria, se le posizioni contrastanti non prendessero corpo, sotto la gragnuola dei commenti delle donne alle finestre, in imbonitori faciloni e in navigati commercianti, o nella rivalità concorrenziale tra l’antica osteria e l’attiguo Sbar accattivante, o nella lobby dei laboratori orafi di cui abbonda l’intera provincia aretina (e che si scoprì essere rete affidabile del piduista Licio Gelli, aretino anche lui). E ancora il cultore intraprendente e seduttivo di qualche antica repubblica del territorio come la gloriosa Cospaia, la manageriale rappresentante della «Confedersagre», un pretenzioso «chef rinascimentale», un fantasioso (ma neanche tanto) astropolitologo dal piglio visceralmente oracolare, il vecchio saggio (mago musicale) che vuol emigrare nell’Umbria a un pugno di chilometri. E non manca la procace e promettente «miss Toscana» e uno stolidamente ingenuo pellegrino francescano. Tutti alternativamente furbissimi o babbei, perché di verità, per come ci viene raccontata, non ce n’è più una sola. E perfino il pubblico del paese di giocopoli e grattaevinci, viene chiamato a pronunciarsi con apposito referendum, come in un fasullo preserale delle tv generaliste.

Questa folla di posizioni presentate con grazia e irresistibile vis comica, questa babele di interessi contrapposti che bercia, si schiera e congiura come a una vera sagra, fa crescere un’amarezza, una punta di veleno che solo la bontà dei cibi e il rosso generoso riescono a lenire. Perché risulta chiaro, da ogni accenno discreto e da ogni beffa rumorosa, che siamo nella progressiva e consapevole Toscana, quella del presidente Rossi separatista, e ancor di più del grande rottamatore, segretario e presidente Renzi. Ma siamo anche nel terreno di coltura di Bancaetruria e sotto la cappa del Monte dei Paschi. La crisi «trasformazionale» del Pd diventa lo specchio delle brame di tutti quei caratteri in commedia, il luogo del rifiuto della storia o della sua strumentalizzazione. Ma affiorano discretamente anche i limiti e le illusioni «di nuova generazione», in una regione in cui abbondano recentemente i cambi di amministrazioni grazie a M5s e liste civiche. Nessuno viene tirato in ballo per la collottola, ma lo spettatore attento (che non si sia lasciato oberare dal cibo) può riconoscerne caratteri e gesti precisi. Altri si possono lasciar conquistare dal languore swing di qualche vecchia canzone, o cogliere le radici linguistiche e antropologiche di certi modi di parlare.

È l’aspetto più notevole e interessante di questo ricco Via da noi (in scena ad Anghiari fino al 19 agosto, tutte le sere alle 20.30 info 0575749279). Tutto è costruito secondo i canoni della commedia (con qualche fuga nel glorioso varietà), ma la portata principale, non necessariamente indigesta, sta nelle implicazioni che tutti quei rapporti bizzarri ed esilaranti comportano e fanno affiorare. La crisi della politica, e tutte le altre che a grappolo ne sono germinate, escono qui come in un flusso di coscienza. Merendelli e Pennacchini e tutti i loro attori son divenuti maestri nel raccontarcene, ma non ci dicono mai quale antidoto o digestivo sia in grado di liberarcene…