La costa tra le Apuane e il mare
Divano Litorale allora intatto tra arenili e dune, e inospite, coperto di pinete e di pioppeti, fitti alle solitarie foci dei torrenti, da Bocca d’Arno, su, fino al Cinquale, Frigido e al Magra
Divano Litorale allora intatto tra arenili e dune, e inospite, coperto di pinete e di pioppeti, fitti alle solitarie foci dei torrenti, da Bocca d’Arno, su, fino al Cinquale, Frigido e al Magra
Una idea della determinazione con la quale si perseguì lo sviluppo turistico della costa tirrenica ai piedi delle Alpi Apuane che da Bocca di Magra, per le marine di Carrara e di Massa, i Ronchi e il Poveromo e, oltre il Forte dei Marmi, Pietrasanta e Lido di Camaiore giunge a Viareggio, possiamo ricavarla traendo esempio dalla vicenda della costruzione della cosiddetta Torre Fiat a Marina di Massa. Nel 1932 Edoardo Agnelli dà incarico all’ingegnere Vittorio Bonadè Bottino di progettare un edificio destinato ad ospitare i figli dei dipendenti Fiat nella stagione estiva.
Bonadè Bottino concepisce, ideazione che bene può esser definita fantastica, una torre di forma cilindrica dal diametro di venticinque metri ed alta cinquantadue. Attorno ad un pozzo centrale libero da terra a cielo, le camerate vi sono disposte a raggiera e si aprono lungo una rampa elicoidale, una spirale continua. Possono accogliere complessivamente fino ad ottocento bambini. Ebbene, nella primavera del 1933, mille uomini sono impiegati e portano a compimento la costruzione del suggestivo e certo assai originale edificio in soli novanta giorni.
Senza tacere che al contempo furono realizzati tutti gli speciali arredi destinati ad esser collocati in ambienti dai pavimenti, per lo più, inclinati (per dire: i lettini compensano il lieve dislivello con la diversa altezza delle quattro gambe). Questo il caso della Torre Fiat, ma è dalla fine degli anni Venti e, poi, almeno fino al 1938 che nel litorale apuo-versiliese si intensifica, con solerte regolarità anno via anno, la costruzione di colonie marine promossa dal governo fascista. E tra altri, privilegiato fu quel litorale di incomparabile bellezza, tra le Alpi e il mare, che aveva tra i primi incantato, sul calare dell’Ottocento, il pittore Nino Costa (celebrati i suoi paesaggi verdi di vegetazione fluviale, barconi all’attracco e acque stagnanti), Eleonora Duse e Gabriele d’Annunzio.
Litorale allora intatto tra arenili e dune, e inospite, coperto di pinete e di pioppeti, fitti alle solitarie foci dei torrenti, da Bocca d’Arno, su, fino al Cinquale, Frigido e al Magra. E furono quei pittori e poeti che attirarono in Versilia, col sorgere del nuovo secolo, letterati e artisti, dando avvio alla scoperta turistica di quei luoghi e contribuendo alla loro rinomanza europea, diffusasi presto proprio tra gli intellettuali. Una ‘scoperta’ destinata a crescere, appunto, nel corso degli anni Venti del Novecento.
Di questa vicenda, per quanto riguarda specificamente la pineta e le spiagge dei Ronchi e del Poveromo, forniscono un accurato resoconto Massimiliano Nocchi e Silvia Nicoli in un volume riccamente illustrato dal titolo Le ville di Ronchi e del Poveromo, architetture e società. 1900-1970, che l’editore Pacini di Pisa manda ora in libreria. Accanto ad un corredo di fotografie d’epoca sfogliando le quali ci appaiono interni e riservati giardini, possiamo osservare ora Piero Calamandrei che, seduto su una comoda poltrona di vimini, conversa con la moglie Ada sorridente; ora Giorgio de Chirico, pennelli in mano, in casa del fratello Alberto Savinio, due cavalli appena dipinti e la cognata Maria in shortes; ora Mino Maccari all’opera nell’ombra pomeridiana del suo studio.
Tra i molti che potremmo mentovare, rammenterò solo il soggiorno di Walter Benjamin nell’estate e nell’autunno del 1932. Un soggiorno operoso, come si apprende dalle lettere che dal Poveromo Benjamin scrive in quei mesi agli amici Gershom Sholem e a Theodor Wiesengrund Adorno. Benjamin abita Villa Irene a proposito della quale così ci informano Nocchi e Nicoli: «L’arrivo a Poveromo di Irene von Powa, che aveva studiato alla Sorbona lingue e medicina, e del barone polacco Alexander De Guttry, che avvieranno poi la Villa Irene, rappresenta l’inizio di una stagione nuova per le solitarie spiagge di questa parte della Toscana settentrionale. (…) Nel 1928 viene aperta Villa Irene, una casa -albergo, con una decina di camere per ospiti, senza l’acqua corrente, né la luce elettrica, da aprile a ottobre, ospita villeggianti e amici che arrivano dalla Germania, dall’Austria e dalla Polonia e rimangono anche per periodi lunghi».
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