«Meglio sapere dove andare senza sapere come, che sapere come andare senza sapere dove». È il sindaco di Cagliari Massimo Zedda a riassumere – citando Queimada di Gillo Pontecorvo – il punto attorno a cui ruotano gli interrogativi della sinistra che c’è e più ancora di quella che verrà. Associazione cinematografica che da Spike Lee attraversa l’Atlantico per collegarsi a «La cosa giusta» da fare per «non morire di berlusconismo». Nichi Vendola parla chiaro a quel popolo che ha riempito ieri pomeriggio Piazza Santi Apostoli a Roma, accorso per la manifestazione convocata da Sinistra ecologia e libertà per dire no al governissimo: «La cosa giusta non è rompere il patto con il popolo del centrosinistra», non è lavorare «per scorticare qualche pezzo di Pd», né «rinchiuderci in un passato da sinistra radicale o minoritaria».

Il compito di Sel e di quell’associazionismo diffuso che ha riempito ieri la piazza, è «entrare da protagonisti nel tempo futuro». Insomma, mai più «due sinistre che si contendono spazi angusti», come dice Gad Lerner. E piuttosto che impegnarsi «a denunciare il tradimento del Pd», il progetto di Vendola è lavorare per «allargare le contraddizioni interne» e convincere tutti i democratici della bontà della sua proposta: «Nasca un governo di cambiamento, con le forze che sono nel campo della sinistra».

Il programma di governo presentato da Enrico Letta «è irrealizzabile e velleitario». Fare la cosa giusta significa «cercare ancora», «con libertà mentale, con curiosità e senza scorciatoie». A Guglielmo Epifani Vendola rivolge «auguri sinceri» (ma in piazza c’è chi non li condivide) perché «per lui sarà complicato assolvere il compito di rimettere in piedi un grande partito di sinistra nel momento in cui il suo alleato principale è impegnato a Brescia a manifestare contro la magistratura».

E la sinistra del futuro, che è «una categoria del sociale prima ancora che del politico» (parole di Riccardo Terzi, citate più volte dal palco dove in tanti hanno preso la parola), viaggia su tre assi fondamentali: diritti, lavoro e beni comuni, il primo dei quali «non è né la scuola né l’università, ma l’istruzione». È questo l’unico bene che può traghettare l’Italia fuori da quella sottocultura «da scantinato di una repubblica morente», come la definisce Vendola riferendosi al «celodurismo» imperante nell’era berlusconiana e di cui vediamo ancora i segni negli insulti alla ministra Kyenge, per esempio, o alla presidente della Camera, Boldrini.

L’istruzione è l’unico strumento per combattere quell’analfabetismo di ritorno, di cui parla Maso Notarianni (Emergency), che vede oggi «quasi l’80% degli italiani senza strumenti culturali minimi, incapaci di interpretare un qualsiasi testo scritto».

Diritti soprattutto – il tasto su cui batte di più il giurista Stefano Rodotà, accolto come il vero riferimento intellettuale di questa area – che sono «l’elemento fondamentale della lotta politica»: «Tutti abbiamo uguale patrimonio di diritti fondamentali, in qualunque luogo ci troviamo e in qualunque condizioni sociale di provenienza». Ed è proprio in tempo di crisi che c’è più bisogno di attenzione ai diritti, perché sono i primi a soccombere.

Diritti che si possono coniugare in mille modi, perché «sono molte le cose giuste da mettere insieme», argomenta Rodotà, un po’ a disagio per i cori da stadio – «Presidente, sei solo un presidente», urlano dalla piazza –: cittadinanza, lavoro, salute, ambiente. Ma soprattutto rispetto della Costituzione e della volontà popolare: «Dobbiamo chiarire quale idea di Costituzione abbiamo: non si può però pensare di ridiscutere la forma di Stato e di governo come se i cittadini non si fossero mai espressi su questo punto». Per tutti la prima cosa giusta da fare è cambiare l’attuale legge elettorale: «Basta una norma semplice che cancelli il Porcellum per tornare al più decente Mattarellum», è la strada indicata da Vendola.

Per quanto riguarda il suo partito, il leader di Sel ha già in mente di proporre al primo congresso, in autunno, di «togliere la parola Vendola dal nostro simbolo –dice –perché io mi riconosco in voi». Parole simili le aveva pronunciate poco prima il giurista più amato a sinistra: «Questo Rodotà lo avete inventato voi».