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La corsa selvaggia dei bond aziendali

Nuova finanza pubblica Dieci anni dopo le roboanti dichiarazioni dei leader, le imprese hanno raddoppiato il proprio indebitamento. Secondo un recente rapporto dell’Oecd le emissioni di corporate bond sono passate da una media di 864 miliardi di dollari annui prima del 2008 a 1.700 miliardi fra 2008-18

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 20 aprile 2019

Allo scoppio della crisi del 2007-08 si videro i leader mondiali promettere riforme e regolamentazioni contro la «speculazione selvaggia», rimettendo l’economia sul sentiero della produzione materiale. Fino a promettere una «rifondazione etica del capitalismo». Con tanti che stavano perdendo il lavoro, il sistema che aveva causato una recessione globale e che salvava le banche mentre la gente veniva buttata in strada non era precisamente popolare.

Dopo dieci anni il fallimento non potrebbe essere più spettacolare.

Uno degli aspetti più caratteristici dell’economia attuale è la finanziarizzazione, non solo in termini di crescita di accumulazione del profitto grazie a prodotti finanziari, ma di dipendenza da tale dinamica dell’economia reale: famiglie, Stati e aziende sempre più indebitate.

Dieci anni dopo le roboanti dichiarazioni dei leader, le imprese hanno raddoppiato il proprio indebitamento. Secondo un recente rapporto dell’Oecd le emissioni di corporate bond (cioè di obbligazioni con le quali si prende in prestito dal mercato di capitali) sono passate da una media di 864 miliardi di dollari annui prima del 2008 a 1.700 miliardi annui fra 2008-18. Raggiungendo la cifra attuale di 13mila miliardi.

I paesi più ricchi già comprendevano la maggior parte dell’indebitamento delle società (circa il 79%) e hanno visto un aumento del 70 %, passando da 5 .970 miliardi di dollari nel 2008 a 10.170 nel 2018.

I paesi emergenti, Cina in testa, hanno visto una progressione ancora più spettacolare. Con un balzo del 395%, raggiungendo i 2.780 miliardi.

Il quesito non è come verranno pagate tutte queste obbligazioni, ma in che modo verranno sostituite. Il debito in bond non è fatto per essere pagato, ma si cerca di emettere un volume simile di obbligazioni (cioè di raccattare denaro in prestito), così i soldi che escono per i creditori rientrano da altri prestatori. Finché, chiaramente, non scoppia una crisi che blocca il flusso e crea problemi ovunque.

Questo è un tratto caratteristico della fase finanziaria del capitalismo contemporaneo. L’indebitamento non è più il sostituto di una disponibilità finanziaria funzionale ad un processo produttivo. Diventa un elemento strutturale e permanente che si sostiene su di una dinamica continua, come le palle tenute in aria dal giocoliere.

Uno degli effetti di questo meccanismo è che la necessità di posizionarsi sui mercati finanziari è decisiva sempre per un numero maggiore di aziende. Il rapporto Oecd mostra che aumentano anche gli emettitori (cioè non sono gli stessi che chiedono più soldi, ma sono più aziende). Che nei prossimi tre anni dovranno procacciarsi quattro trilioni di dollari (cioè 4mila miliardi di euro), entrando in concorrenza con gli Stati: secondo un altro, recente, rapporto Oecd infatti nel 2019 ci si attende che l’emissione di titoli di Stato raggiunga il picco di 11 trilioni.

Le aziende in queste condizioni cambiano molto la loro fisionomia interna, l’articolazione produttiva e il rapporto con il mondo del lavoro, in almeno due sensi: 1) dato che la finalità preminente non è produrre ma creare valore per gli azionisti, i lavoratori e gli elementi produttivi possono essere sacrificati senza tentennamenti se il mercato finanziario lo richiede;
2) non c’è più alcun incentivo ad accrescere la domanda interna, per esempio alzando i salari.

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