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La corsa all’oro nella spazzatura dell’high-tech

La corsa all’oro nella spazzatura dell’high-tech

Il fatto della settimana Si chiamano RAEE le miniere del XXI secolo. I metalli preziosi non sono sotto terra ma nei pc e nei telefoni che buttiamo. Oro, argento, platino, rame, tantalio...

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 28 febbraio 2019

Sono i RAEE le nuove miniere, non più i cunicoli scavati nella roccia. Oro, argento, platino e la miriade di minerali dai nomi strani, raggruppati nelle terre rare. Sono questi i metalli preziosi che si possono recuperare dai computer, telefoni e dagli apparecchi elettronici che eliminiamo.

Le schede elettroniche raccolte in Italia vengono spedite all’estero. Le mete principali sono: Francia, Germania e Belgio. Nel nostro paese la tecnologia per il recupero di metalli preziosi e terre rare dai RAEE si sta diffondendo solo ora, ed è in fase di start up. I motivi sono molteplici. In primis lo sviluppo dell’industria pesante, come spiega Danilo Fontana, ricercatore dell’ENEA nella divisione uso efficiente delle risorse e chiusura dei cicli. Le tecnologie per recuperare i metalli dalle schede elettroniche sono di due tipi: la pirometallurgia e l’idrometallurgia. «I paesi del Nord Europa alla fine della seconda guerra mondiale avevano un’industria pesante molto sviluppata» sottolinea il ricercatore, e aggiunge: «Sfruttando conoscenze consolidate hanno cominciato a recuperare i metalli dalle schede elettroniche, fondendole ad alte temperature». In Italia, invece, si è sviluppato un commercio delle componenti dei RAEE, poiché non necessitava impiantistica o investimenti costosi. Anche la complessa burocrazia italiana per il trattamento dei rifiuti ha fatto da freno.

SE POI SI PARLA NELLO SPECIFICO DEL RECUPERO di terre rare e metalli preziosi a questi si aggiungono due motivi prettamente economici: l’economicità e la mancanza di un mercato. Danilo Fontana fa l’esempio del tantalio, minerale raro noto per il suo impatto sociale e politico nei paesi di estrazione. «Il tantalio è presente solo in alcuni tipi di condensatori, nei telefoni cellulari» spiega il ricercatore e aggiunge: «Rispetto all’intera massa, il tantalio rappresenta solo qualche parte per milione». Una quantità minima. «Oggi sviluppare un processo di trattamento per il recupero del solo tantalio non sarebbe sostenibile economicamente» sottolinea e aggiunge: «Si deve valorizzare l’oggetto nel suo complesso, in un’ottica di economia circolare». Per avere un’idea, si stima che il recupero delle terre rare oggi sia inferiore all’1% dell’immesso sul mercato. Esiste poi un problema di utilizzo, ci tiene a specificare Danilo Fontana: «I metalli come rame e nichel hanno un ampio mercato interno, ma elementi come le terre rare recuperate dai RAEE, come vengono impiegati?». In Europa non esiste una filiera industriale consolidata che possa assorbirle completamente. Le componenti di questi oggetti vengono prevalentemente assemblate, la produzione avviene all’estero, in Asia. «La Cina produttrice di terre rare mantiene i prezzi bassi e non ha ovviamente alcun interesse a riacquistare i materiali recuperati dai RAEE» sostiene il ricercatore ENEA. La tecnologia alla base dei RAEE, poi, è in continua evoluzione. «Diventa complesso sviluppare processi di recupero per oggetti che cambiano velocemente le loro caratteristiche e la loro composizione».

ENEA SI OCCUPA DEL RECUPERO DI MATERIALI critici, strategici o di elevato valore aggiunto, di valorizzazione dei sottoprodotti e dei rifiuti in ottica di economia circolare. «Abbiamo messo a punto e brevettato un processo per l’estrazione di metalli preziosi dalle schede elettroniche dei computer, per poterlo poi mettere sul mercato» racconta Danilo Fontana. L’idea è avviare la filiera del recupero di metalli preziosi dai RAEE anche sul territorio italiano. Dall’osservatorio di ENEA emerge un interesse crescente da parte delle imprese. Il prossimo traguardo per l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie sarà recuperare le componenti del telefono cellulare e delle batterie al litio, visto lo sviluppo della mobilità elettrica.

Le uniche attività industriali consolidate sono quelle storicamente collegate ai distretti orafi toscani. Alcune imprese, infatti, avevano già sviluppato la competenza per recupero di metalli preziosi. I procedimenti prevedono, però, la combustione ad alte temperature e hanno un elevato impatto ambientale.

A partire dalle Università, in questi anni, sono nate numerose esperienze che estraggono terre rare e minerali preziosi dai rifiuti elettronici. Remete è una start up composta da professori e ricercatori del dipartimento di elettronica e telecomunicazioni del Politecnico di Torino. L’impresa è nata per il recupero delle terre rare, sottraendole al monopolio cinese. Il progetto ha visto la luce nel 2016 quando l’impresa ha ricevuto l’autorizzazione al trattamento dei rifiuti. L’ingegnere Antonio Dirita, a.d. di Remete sottolinea un’ulteriore complessità nel trattamento delle terre rare. «I metalli che fanno parte di questa categoria hanno tutti caratteristiche chimiche simili». Sono quindi complessi da separare. Remete sta mettendo a punto un procedimento elettrochimico per separare le diverse terre rare, che oggi vengono cedute come miscuglio.

AD OGGI L’IMPRESA RECUPERA ANCHE ORO, argento e platino. Il processo adottato da Remete punta alla circolarità completa. «Abbiamo trovato un sistema efficiente e non inquinante» spiega Antonio Dirita. Grazie ad un reattore ermetico e ad un composto brevettato tutte le emissioni vengono bloccate, impedendo l’uscita di gas. L’impianto messo a punto riesce a riciclare anche le acque di lavaggio. La lavorazione, oltre ad estrarre metalli preziosi dai RAEE, produce anche sottoprodotti potenzialmente utili. L’obiettivo è l’economia circolare, ad emissioni zero. Per aumentare l’efficacia del progetto i ricercatori hanno brevettato anche una macchina che stacca i componenti dai circuiti stampati, semplificando il loro trattamento.

DALL’ALTRO CAPO DELL’ITALIA, IN SICILIA, un’altra realtà recupera i materiali presenti nei circuiti stampati, contenuti nei RAEE. PCBIS (Printed Circuit Board Innovative Solution) di Envin Srl è nata nel 2017 nel laboratorio di tecnologie chimiche ed elettrochimiche dell’Università di Palermo. Fabrizio Vicari e Alessio Navarra, ingegneri ambientali, lavorano insieme a Benedetto Schiavo, ricercatore nel laboratorio di Tecnologie Chimiche ed Elettrochimiche dell’Università di Palermo, prima, e ingegnere impiantista industriale poi. «Il bisogno di fare qualcosa è nato osservando i rifiuti per le strade di Palermo» spiega Vicari. Tra i rifiuti spesso si vedono anche pc e oggetti elettronici. «Abbiamo pensato di risolvere una parte del problema utilizzando le nostre conoscenze specialistiche» sottolinea. Il processo messo a punto dai tre si basa su tecnologie elettrochimiche che usano reagenti sicuri a temperature prossime a quella ambiente. Il progetto prevede il recupero di metalli come: ferro, rame, zinco, stagno, argento e oro, con una purezza vicina al 100%. L’impresa è ancora in fase di start up, ha messo a punto il recupero di rame e stagno, che si trovano in concentrazioni maggiori. A latere del progetto principale il gruppo sta elaborando anche una strategia per il recupero di alcune terre rare. L’iniziativa di economia circolare punta a rimettere sul mercato metalli che possano essere utilizzati per la produzione di nuovi sistemi elettronici. Nel 2018 PCBIS è stata premiata dal European Institute of Innovation and Technology con il terzo posto tra i migliori progetti europei nel recupero di materia.

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