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La corsa all’avocado, oro verde di Sicilia

Il fatto della settimana Gli agrumi non rendono più e sull’isola il nuovo trend sono i frutti tropicali. Produzioni biologiche e di ottima qualità. Con il rischio clima

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 18 giugno 2020

Spremuta d’arancia o guacamole? Non è il dilemma da risolvere per affrontare l’inverno ma la scelta cui si trovano davanti gli agricoltori siciliani. La crisi degli agrumi viene definita profonda dalle associazioni di categoria. Coldiretti, Cia e Confindustria denunciano fenomeni come l’abbassamento dei prezzi al di sotto dei costi di produzione o l’abbandono dei frutti sugli alberi. Chi si dedica all’agricoltura in Sicilia ha cominciato a correre ai ripari puntando sui nuovi trend: la frutta tropicale. I consumi di avocado in Italia sono passati dalle 3.000 tonnellate del 2007 alle 13.000 del 2016, secondo il centro servizi ortofrutticoli. Il frutto, le cui caratteristiche nutrizionali lo inseriscono nei superfood, nel 2018 è entrato nel paniere Istat.

Diversamente da quello che si può immaginare, già negli anni ‘60 e ‘70 comparvero i primi studi sull’adattamento dell’avocado al territorio siciliano. Il professor Vittorio Farina, docente di frutticoltura tropicale e subtropicale all’Università di Palermo, sottolinea che all’inizio si trattava di piccole sperimentazioni. «Il boom è cominciato negli anni ’80 quando sono comparsi i primi impianti commerciali, oggi la coltura è strutturata e redditizia», continua. Oggi l’avocado viene coltivato in Sicilia e in alcune zone della Calabria.

IL FRUTTO È IN ASCESA ESPONENZIALE, secondo Vittorio Farina: «Il numero degli impianti cresce ogni giorno». A favorire l’allargamento degli areali è anche il cambiamento climatico, che ha reso gli inverni più miti. Non esistono dati precisi sul numero di ettari coltivati ad avocado nel nostro paese, come ci conferma anche il professore dell’università di Palermo: «Non è ancora stato realizzato un censimento». L’avocado, infatti, non compare nemmeno nei dati Istat relativi alle superfici coltivate a frutta tropicale e subtropicale. Gli impianti sono localizzati nelle aree vocate, come spiega Vittorio Farina: «Nella zona del catanese, del messinese, del palermitano, principalmente più vicini alle coste».

«Molti imprenditori si stanno orientando verso le colture tropicali anche a causa della crisi degli agrumi», sottolinea il docente di frutticoltura, evidenziando come le scelte spingano anche verso il mango e il litchi. La stessa tendenza è confermata anche da Andrea Passanisi, fondatore di Sicilia Avocado, il brand che oggi riunisce 16 produttori di grandi e piccole dimensioni, per un totale di circa 100 ettari. «Ho cominciato a coltivare avocado nei primi anni 2000, e già in quel periodo chi aveva limoneti si accorgeva delle prime difficoltà dal punto di vista commerciale». Oggi, secondo l’agricoltore, chi si avvicina ad altre colture lo fa in parte per frustrazione nei frutti tradizionali e in parte per cercare alternative.

«Solitamente chi coltiva avocado allarga i suoi interessi anche ad altri frutti tropicali», spiega Vittorio Farina, e aggiunge: «Si tratta di una coltura che richiede specializzazione perché la pianta nel nostro clima ha un comportamento diverso rispetto a quelle che vivono in climi tropicali». Anche dal punto di vista dei parassiti e delle malattie si è ancora in una fase di studio.

IL PREZZO DELL’AVOCADO DIPENDE MOLTO dalle oscillazioni del mercato. Ad aprile del 2018, in un solo giorno, il prezzo del frutto di qualità Hass prodotto in Messico è aumentato del 34%. Per i produttori italiani, nonostante le fluttuazioni dei prezzi internazionali, risulta mediamente più redditizio delle arance. La quotazione è molto altalenante, non è tutto oro ciò che luccica sottolinea l’imprenditore siciliano: «L’avocado ha una buona costanza ma subisce variazioni in relazione al prodotto, alla certificazione, alla spedizione e al paese di origine e al periodo». Sicilia Avocado ha puntato sulla comunicazione e sull’identità di prodotto italiano, siciliano e biologico. «Nel periodo di massima crisi della quotazione abbiamo trovato interlocutori commerciali che hanno valorizzato le caratteristiche del nostro prodotto», sottolinea Passanisi. Il rischio maggiore per l’avocado, secondo l’agricoltore, è l’individualismo dei produttori che porta alla frammentazione dell’offerta.
La maggior parte dei produttori siciliani di questo frutto si è orientata verso l’esportazione. Il Professor Farina lo spiega così: «I prezzi sono più elevati e la qualità del frutto siciliano viene molto apprezzata». Le destinazioni estere degli avocado siciliani sono principalmente: Olanda, Svizzera e Germania. Secondo il professore dell’Università di Palermo, l’avocado siciliano non subisce la concorrenza degli altri paesi produttori internazionali perché ha trovato un posizionamento di mercato ben definito: «È basato su elevati requisiti di qualità e arriva sul mercato europeo in pochissimo tempo». A questo si aggiunge «una gestione agronomica e post raccolta attenta e rispettosa dell’ambiente», spiega Vittorio Farina. La concorrenza più forte arriva dalla Spagna, dove l’avocado è in grande espansione e la coltura è radicata da tempo.

SOLO UNA PICCOLA FETTA È DESTINATA al mercato interno e alla grande distribuzione. La difficoltà principale è quella di garantire la copertura della domanda, in contino rialzo. Sicilia Avocado vende il 40% in Italia tramite sistema e-commerce, per un altro 40% esporta in Francia, Polonia e Cina e il 20% va sul mercato all’ingrosso nazionale. I frutti dell’azienda sono certificati biologici. Il gruppo si trova nella zona ionica, tra Acireale e Messina. «Abbiamo scelto la certificazione biologica per rispetto della natura e di chi compra il nostro frutto», sottolinea il fondatore del brand. Andrea Passanisi ha 35 anni e si ritiene fortunato. Ha ricevuto in eredità dei terreni su cui ha fatto delle prove, diversificando. «A 17 anni ho fatto il mio primo viaggio in Brasile ed ero incuriosito dai frutti», così racconta l’inizio della sua passione che ha continuato a coltivare, nonostante la laurea in giurisprudenza. Dopo un po’ la passione è diventata un lavoro. Nella sua azienda, a Giarre, continua a coltivare anche i limoni, ma ha deciso di diversificare: avocado, mango, guava, papaia, frutto della passione. Se è vero che gli inverni più miti stanno favorendo l’allargamento delle aree in cui è possibile coltivare avocado, secondo l’agricoltore il clima è un’arma a doppio taglio. «Il freddo arriva a febbraio/marzo, quando le piante si preparano per la fioritura. Se in quel momento c’è uno sbalzo di temperatura la pianta ne risente. Lo stesso accade quando a dicembre si raggiungono i 25 gradi per una o due settimane», spiega.

LA STAGIONE DELL’AVOCADO SICILIANO va da ottobre a giugno. La pianta, che viene coltivata in campo aperto, soffre il freddo, ma ha una resistenza fino a zero gradi o meno uno, a seconda della varietà. Per raccogliere i primi frutti bisogna aspettare tre anni. Ha bisogno di acqua nel periodo estivo e quando c’è siccità necessita di irrigazione. «Il fabbisogno idrico è simile a quello degli agrumi», sottolinea il professore dell’Università di Palermo. Il problema si esplicita nei mesi di luglio e agosto, quando le temperature aumentano. La pianta necessita di acqua ma teme il ristagno idrico, in particolare nei terreni più argillosi. «Tutta la frutticoltura tropicale deve essere realizzata in aree vocate, non si può pensare di piantarla ovunque», sottolinea il professore. Chi ha partecipato alla corsa all’oro verde piantando avocado in aree non adatte ha perso le piante o non le ha viste crescere. Andrea Passanisi sottolinea la necessità di tenere conto di ogni elemento prima di piantare frutta tropicale: «Clima, acqua e terreno influenzano la coltura».

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