Europa

La corsa a Charlie, tutto esaurito

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Reazione agli attentati Vari fermi, tra cui il comico Dieudonné per apologia di terrorismo: la differenza con l'umorismo di Charlie Hebdo, che mette in prima pagina un Maometto triste, che "perdona". Il reato di blasfemia non esiste in Francia, la differenza con altri paesi, molti restii a pubblicare le caricature. rivendicazione di Al Qaeda dalla Yemen per il massacro perpetrato dai fratelli Kouachi, gli attacchi di Coulibaly giudicati una "coincidenza". I rischi di una deriva securitaria europea

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 15 gennaio 2015

Edicole prese d’assalto fin dalla prima mattina, Charlie Hebdo, che ha deciso di aumentare la tiratura a 5 milioni di copie al ritmo di 500mila al giorno e sarà in edicola per due settimane, subito esaurito in attesa di una nuova edizione. Un fenomeno mai successo prima. Anche Le Canard Enchainé, altro settimanale satirico, era esaurito – il giornale è sotto protezione rafforzata della polizia, in seguito alle minacce ricevute dopo l’attacco a Charlie Hebdo. Anche Libération era esaurita, probabilmente grazie al fatto di aver ospitato la redazione del settimanale satirico, con la prima con tanti Charlie Hebdo e il titolo: “Io sono in edicola”. Le donazioni esplodono, più di un milione di euro sono stati destinati da più di 14mila persone a Charlie Hebdo, che era in difficoltà finanziarie.

L’umorista Dieudonné è stato messo in stato fermo alle 7 di ieri mattina, con l’accusa di “apologia di terrorismo”. Un’inchiesta era stata aperta lunedi’ dalla Procura di Parigi in seguito alla frase uscita su Facebook, una parodia di “Io sono Charlie”. Dieudonné ha proclamato, domenica: “sappiate che, stasera, per quello che mi riguarda, io mi sento Charlie Coulibaly”. C’era anche una presa in giro della grande manifestazione di domenica, definita “istante magico pari al big-bang” o all’ “incoronamento di Vercingetorige”. Il suo ultimo spettacolo, La Bestia umana, è deprogrammato dappertutto.

Che differenza tra Charlie Hebdo e Dieudonné? All’estero, non molti media hanno accettato di pubblicare le caricature di Charlie. Critiche sono arrivate dalle autorità religiose un po’ dappertutto, soprattutto in Medioriente, in Asia e in Africa. In Francia, le autorità musulmane hanno suggerito ai fedeli di ignorare le caricature. Mentre Jean-Marie Le Pen e Tariq Ramadan hanno espresso il loro rigetto verso la marcia repubblicana affermando “Io non sono Charlie”. Nel mondo musulmano, ha sfidato la censura il quotidiano turco Cumhuriyet, che ha tradotto 4 pagine di Charlie Hebdo. Il New York Times ha fatto auto-critica, la mediatrice ha disapprovato la scelta di non pubblicare le caricature. Lo JyllandsPost danese, che nel 2006 aveva pubblicato le caricature poi riprese da Charlie, si è “autocensurato”, ha spiegato il direttore, per “paura”. In Francia la situazione è diversa, per la storia del paese. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1789 dichiara: “ogni cittadino puo’ parlare, scrivere, stampare liberamente”. Il reato di blasfemia non esiste dalla Rivoluzione (salvo in Alsazia, retaggio della legge tedesca, ma c’è una petizione per sopprimerlo), confermato con una legge del 1881. Ma la legge pone dei limiti. Charlie Hebdo non li ha infranti, mentre Dieudonné lo ha fatto. La legge punisce la diffamazione e l’incitamento all’odio, alla violenza. Le vignette di Charlie Hebdo, che spesso è stato trascinato in tribunale – 48 processi dal ’92 a oggi, 9 condanne – non prendono di mira persone specifiche, ma il settimanale ha messo in scena in prima pagina un Maometto triste, con un cartello “Io sono Charlie” e il titolo: “Tutto è perdonato” (dentro ci sono articoli e altre vignette, alcune sono le ultime realizzate dai disegnatori deceduti, come Cabu). Il filosofo Olivier Abel, che insegna alla facoltà di Teologia protestante di Montpellier, vede nel titolo un richiamo al perdono, ironico e spiazzante, un gesto politico: chi perdona a chi? E cosa? Il titolo fa riflettere. Al contrario, l’intervento di Dieudonné è messo sotto accusa, perché inneggiando a Coulibaly si trasforma in espressione di antisemitismo e in apologia di attentato, entrambi puniti dalla legge (fino a 7 anni di carcere e 100mila euro di multa, se diffusi su Internet). Dagli attentati, sono in corso più di 50 procedimenti giudiziari per “apologia di terrorismo” (15 a causa di tag, 10 per danni procurati a luoghi di culto musulmani, 11 per distribuzione di volantini anti-islam, 19 per infrazioni contro le forze dell’ordine, 14 per cyber-attacchi) e ci sono già le prime condanne. Oggi, il Csa (Consiglio superiore dell’audiovisivo) ha convocato una tavola rotonda con i direttori dei principali media, per analizzare alcune derive nell’informazione di questi giorni, dovute soprattutto alla precipitazione e all’emozione generale.

Al Quaeda dallo Yemen ha rivendicato l’attentato con un video di 11 minuiti, che conferma le affermazioni dei fratelli Kouachi. Parla di “coincidenza” con gli attentati di Coulibaly (che aveva rivendicato di essere dell’Isis). C’è stato un arresto di un francese in Bulgaria due giorni fa. L’inchiesta dovrà mettere in luce la rete di appoggi, interna e internazionale, che stava attorno ai due fratelli Kouachi e a Coulibaly. Politicamente, l’unità nazionale è proseguita ieri, dopo il discorso di Manuel Valls la vigilia, che è riuscito nel difficile esercizio di mettere in difficoltà la destra, che è stata costretta ad applaudirlo, senza troppo deludere la sinistra, con l’impegno a rispettare lo stato di diritto anche nell’emergenza. L’Europa tutta qui è di fronte a una sfida enorme, per evitare di cadere nella scelta di un Patriot Act all’americana e le derive della Nsa. C’è in prospettiva l’adozione del Pnr (Passenger name record) anche per la Ue, che del resto ha già concesso questa misura a favore degli Usa. C’è chi insiste sulla riforma di Schengen, chiedendo maggiori controlli.

 

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