Politica

La convenienza del martire che cominciò facendo il tifo per i pm

La convenienza del martire che cominciò facendo il tifo per i pm

La storia giudiziaria di Berlusconi Decine di processi, una sola condanna definitiva. Accompagnato dall’abbaglio dei suoi avversari

Pubblicato più di un anno faEdizione del 13 giugno 2023

L’interminabile sfida con le procure l’ha vinta ai punti: una trentina di procedimenti e una sola condanna definitiva. Di fonte a tutto quello di cui è stato accusato, dal concorso esterno in associazione mafiosa alla strage, dalla corruzione alla prostituzione minorile, l’unica condanna è stata alla fine per una questione lieve: frode fiscale. Come Al Capone, hanno commentato gli avversari politici che in lui hanno visto l’incarnazione se non di tutto, di molto male. Ma dal punto di vista tecnico Silvio Berlusconi è stato un eterno indagato – come presunto mandante delle stragi di mafia del 1992-93 lo è da 25 anni -, ripetutamente imputato ma praticamente sempre (con quell’unica eccezione) archiviato, prosciolto o assolto. Forse non un perseguitato come si è sempre raccontato lui, gonfiando il numero dei processi fino a cifre impossibili, più un inseguito dalle procure. Inseguito invano.

Nessuna fuga è stata più scorretta della sua. Sceso in politica appena ha visto minacciati i suoi interessi economici, si è difeso dalle indagini cambiando la legge. Alle ortiche il principio della norma generale e astratta, Berlusconi ha opposto alle procure più ancora che una schiera di bravi avvocati (ripagati spesso con un seggio parlamentare, da Dotti a Previti, da Pecorella a Ghedini a Longo) una valanga di leggi scritte nel suo esclusivo interesse. Talvolta spacciate come riforme di interesse collettivo, in realtà travasate direttamente dalle arringhe delle difese ai fascicoli parlamentari (leggi sulle rogatorie internazionali, Cirami, Pecorella, lodo Schifani). La Corte costituzionale ha poi corretto le peggiori nefandezze che intanto, però, avevano ottenuto l’effetto ricercato da Berlusconi. Il record di proscioglimenti del Cavaliere va letto bene per scoprire che abbondano i casi di prescrizione e di «il fatto non costituisce più reato».

I miei giornali, le mie televisioni e il mio gruppo sono sempre stati in prima fila nel sostenere il lavoro dei giudici di Mani pulitedicembre 1994

Qui c’è il cuore del caso Berlusconi e giustizia. Per la sua biografia e per il modo disinvolto e spregiudicato con cui si è tirato fuori dai guai, il Cavaliere è apparso immediatamente agli occhi dei suoi avversari politici come un colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. Del resto non saranno stati certo un caso, una svista come ha sempre detto lui, l’iscrizione alla loggia P2 né il fatto che gli avessero portato a vivere ad Arcore un mezzo boss mafioso, né che i suoi più stretti collaboratori, da Previti a Dell’Utri, siano stati condannati definitivamente per reati che avevano senso solo se commessi nell’interesse del capo.

Ma così come la verità storica difficilmente arriva a coincidere con la verità giudiziaria – e tanto più difficilmente quando ci sono in mezzo tanti soldi, tanti avvocati, la corruzione giudiziaria e i poteri esecutivo e legislativo – così le cause giudiziarie non riescono a sostituire la lotta politica.

Non essendogli mai mancati né i mezzi né la capacità comunicativa, Berlusconi è riuscito a rovesciare in propaganda a suo favore l’inseguimento continuo, e alla fine vano, delle procure ai suoi danni. Il ritratto del perseguitato appunto. Specularmente, la sinistra ha abbracciato senza se e senza ma le ragioni delle procure, difendendole dagli assalti del Cavaliere e anche approfittando del loro lavoro per contrattaccare. Preferendo puntare sugli argomenti che circolavano in tribunale e sulle cronache giudiziarie assai più che su quelli della politica. Un errore doppio, come la storia dimostra. Da una parte ha consentito a Berlusconi di sfuggire a un giudizio ben più pesante, quello sulla sua azione o non azione di governo, magari anche sullo stesso terreno delle riforme della giustizia dove non è mai andato oltre i suoi interessi contingenti. Dall’altra, arruolandosi nello schieramento delle procure, la sinistra ha rinunciato una volta e per sempre a quella capacità di critica dell’azione giudiziaria che è un pezzo della critica del potere senza la quale non c’è sinistra.

L’apoteosi della confusione tra penale e politico si è verificata proprio nel caso in cui il penale era meno consistente, il caso Ruby. In oltre dieci anni di indagini e processi sono stati pochissimi gli avversari politici di Berlusconi capaci di sfuggire alla tentazione di restaurare la morale del paese in quelle aule di giustizia dove si scandagliavano le serate del Cavaliere e della sua corte. È finita che «il fatto non sussiste».
Così Berlusconi ha nascosto il fatto di aver arruolato dall’inizio anche magistrati (da Parenti a Caliendo a Nitto Palma) ed è stato lasciato solo nella denuncia di quello che per qualunque cittadino italiano prima o poi è esperienza di vita, cioè che il sistema giustizia in Italia funziona male. E nel farlo, nei suoi modi scomposti e pericolosi, il Cavaliere ha persino recuperato un tratto di critica antropologica alla classe togata che apparteneva più alla sinistra sinistra.

Per fare il giudice devi essere mentalmente disturbato, avere turbe psichiche, essere diverso antropologicamente dal resto della razza umanasettembre 2003

Non certo l’unico paradosso per un uomo che ha finito per incarnare il nemico numero uno dei giudici quando aveva cominciato nel modo opposto. «I miei giornali, le mie tv e il mio gruppo sono sempre stati in prima fila nel sostenere i giudici di Mani pulite» è una famosa rivendicazione di Berlusconi che risale al dicembre 1994, allora aveva da poco ricevuto l’invito a comparire dalla procura di Milano anticipato dal Corriere della Sera e stava per perdere il governo. Era la sua una ricostruzione esatta, perché nella fase della «discesa in campo» aveva effettivamente esaltato il lavoro del pool di Milano, mettendosi nella scia della popolarità dei giudici e del desiderio di cambiamento che le loro inchieste provocavano. Proprio lui, figlio prediletto del vecchio sistema politico, protettore e protetto dei partiti in via di smantellamento giudiziario, si propose come alfiere del rinnovamento e provò a chiamare Di Pietro e Davigo, a lui culturalmente affini, nel suo primo governo.
Nella sua lunga vita politica Silvio Berlusconi si è potuto così raccontare prima come sostenitore della rivoluzione delle procure e poi come martire delle stesse, senza averne mai alcun titolo. Ma avendo trovato sempre gli avversari politici perfetti per poterlo fare.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento