La «continuità» dello Stato come ordinaria procedura
Polizia e G8 di Genova Le promozioni dei poliziotti condannati per i fatti di Genova danneggiano la credibilità delle istituzioni
Polizia e G8 di Genova Le promozioni dei poliziotti condannati per i fatti di Genova danneggiano la credibilità delle istituzioni
Nel 1968 all’indomani di violenze di polizia contro il movimento studentesco, Giancarlo Pajetta dichiarò: «Quelli che hanno ordinato l’attacco contro gli studenti, che li hanno fatti bastonare, che li hanno portati in questura, non sono uomini nuovi. Sono quelli del 1964, quelli del 1960. Un generale dei carabinieri che preparava campi di concentramento adesso comanda un po’ di più; un generale di brigata è diventato generale di divisione; il generale che ha falsificato i documenti perché il processo andasse com’è andato, quello è stato promosso ha ricevuto una stella di più. Una stella al merito della menzogna».
Anche le tante promozioni, succedutesi nei venti anni che ci separano dal G8 di Genova, di funzionari delle forze dell’ordine condannati in via definitiva interessano non «uomini nuovi» ma figure di lungo corso. Uno è diventato vice direttore del Cesis; uno è stato assunto in Finmeccanica dal suo ex-capo in Polizia che intanto ne era salito al vertice; uno è andato a guidare l’antiterrorismo e la Divisione anticrimine e un altro ancora il Centro operativo della Polizia stradale a Roma, prima di diventare vicequestore. La lista si allunga di anno in anno senza che i cambi di governi siano in grado di arrestare quella «procedura amministrativa obbligata» posta a giustificazione ufficiale di tali avanzamenti.
La continuità dello Stato, fatta di rimozione del passato e persistenza negli apparati, è questione che interroga il corpo e la materia costituente del Leviatano di Hobbes e ritrae la capacità di «riproduzione nell’immutabilità» delle istituzioni e delle sue prassi. Claudio Pavone insegna che «continuità non è sinonimo di immobilismo» e analizzarne la dinamicità e la sua ricaduta nel tempo consegna strumenti interpretativi per agire sugli assetti del presente.
La transizione dal fascismo alla democrazia (mancata Norimberga italiana e fallimento dell’epurazione) non solo consentì il mantenimento degli uomini di Mussolini (a metà anni Sessanta in Italia venivano dal regime 62 prefetti di prima classe su 64; 64 prefetti di seconda classe su 64; 241 viceprefetti; 7 ispettori generali di Ps su 10; 120 questori su 135; 139 vicequestori su 139 mentre su 1642 commissari e vicecommissari solo 34 avevano vaghi legami con la Resistenza) ma costò fino al 1954, nella relazione democrazia-ordine pubblico 62 morti; 3126 feriti; 92169 arresti; 19306 condannati tra operai e contadini impegnati nelle lotte per lavoro e terra. Erano gli anni in cui nella Sicilia della strage di Portella della Ginestra si alternarono a capo dell’Ispettorato di Ps gli ex questori fascisti di Lubiana Ettore Messana (accusato di crimini di guerra) e Ciro Verdiani, già capo-zona dell’Ovra a Zagabria e questore di Roma nel 1946.
Negli anni Sessanta rapidi furono gli avanzamenti di carriera dei militari coinvolti nel «Piano Solo» del generale De Lorenzo: il colonnello Mario de Julio, incaricato di emettere l’ordine d’arresto contro dirigenti di Pci e Psi, fu promosso comandante della Legione di Livorno; Dino Mingarelli, capo di Stato Maggiore della Divisione Pastrengo di Milano, responsabile degli ordini d’assedio delle zone operaie della città, diverrà direttore della scuola sottufficiali prima di essere condannato per il depistaggio della strage di Peteano del 1972; il colonnello Romolo Dalla Chiesa capo di Stato Maggiore della Divisione Ogaden di Napoli divenne comandante della Legione Lazio.
Negli anni Settanta la torsione democratica deflagrò con lo stragismo e con l’immutabile regola delle promozioni sul campo. Ecco, dunque, l’ex-direttore del confino fascista di Ventotene Marcello Guida gestire l’ordine pubblico a Torino e poi, sempre nel 1969, da questore di Milano accogliere dopo la strage di Piazza Fontana il presidente della Camera Pertini, suo ex-detenuto; Silvano Russomanno repubblichino arruolato nella Luftwaffe nazista divenire numero due dell’Ufficio Affari Riservati negli anni di stragi e golpe; gli agenti Pietro Mucilli, Vito Panessa, Carlo Mainardi e il carabiniere Savino Lograno tutti promossi e presenti al momento della morte di Giuseppe Pinelli in questura a Milano; Giuseppe Pièche, ai vertici del SIM fascista e uomo di fiducia di Mussolini diventare referente del ministro dell’Interno Scelba e poi essere indagato, e assolto, per il golpe Borghese del 1970 mentre il figlio Augusto, nel 1968, organizzava il viaggio dei neofascisti italiani nella Grecia dei colonnelli.
La continuità giunge così fino a noi con i protagonisti del 2001 penalmente salvati dall’assenza del reato di tortura nel nostro codice (introdotto nel 2017) e poi promossi. Ad essere danneggiate nella loro credibilità sono le istituzioni, in un momento storico in cui le stesse dispongono Stati d’emergenza da affidare ai loro uomini. «Tutto ciò poteva essere evitato solo destituendo i funzionari», si legge nelle spiegazioni ufficiali, ma tale «scelta non fu intrapresa dall’Amministrazione». Su quella scelta si misura la stato della nostra democrazia.
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