Cultura

La contestazione a strisce

La contestazione a strisce«Barbarella», di Jean-Claude Forest

MOSTRE A Milano, fino al 6 maggio presso Wow, una esposizione di fumetti sul ’68 e l’immaginazione al potere

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 19 aprile 2018

Questo rischia di essere un anno «mostruoso». Tutto perché 50 anni fa era il 1968. 365 giorni che forse non sconvolsero il mondo, però effettivamente hanno lasciato diversi segni. Solo a Milano si sono inaugurate due mostre in due giorni. Una interessa solo gli addetti ai lavori; all’Anteo Palazzo del Cinema, in occasione del Salone del mobile, sono visibili «oggetti e progetti per un nuovo mondo» ossia design di quel momento storico, comprese alcune pubblicità che non erano proprio tra le più amate dai giovani in quel periodo. E lo slogan prescelto recita «Creatività al potere».

SIN DAL TITOLO ’68 l’immaginazione al potere, è molto più in sintonia con lo spirito dei tempi la mostra allestita fino al 6 maggio presso Wow, spazio fumetto, in viale Campania 12 (ingresso gratuito). Nulla di esaustivo o di trombonesco, solo il tentativo di offrire spunti, occasioni, pretesti per ricordare quel che avvenne quell’anno. Tanto per cominciare allargando gli orizzonti a tutto il mondo e a diverse espressioni artistiche e culturali. Giustamente l’attenzione maggiore è sul fumetto. Ecco quindi alcune tavole di Magnus con Che Guevara (assassinato a fine ’67) protagonista in Lo sconosciuto – l’uomo che uccise Ernesto Che Guevara, altre ancora, mentre Hector G. Oesterheld con i disegni di Alberto ed Enrique Breccia raccontano La vida del Che, In aprile anche Martin Luther King viene assassinato e l’intreccio tra il fumetto e le sue battaglie per i diritti civili è molto stretto. Esistono poi fumetti autobiografici, Tutta colpa del ‘68 di Elfo (Giancarlo Ascari), narra di uno studente di architettura a Milano, mentre in Una vita cinese, Li Kunwu, con lo sceneggiatore francese Philippe Ôtié, racconta i cambiamenti epocali della Cina. Cina che risultava essere ancora un paese piuttosto sconosciuto, e forse per questo ben più amato degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica.

C’ERA POI tutto il fumetto underground che in quel momento aveva potuto risalire in superficie con autori quali Robert Crumb, o con riviste come Revolution Pilote, la più popolare rivista francese di fumetti per ragazzi che si trasforma sotto la pressione degli autori più giovani, e qualcosa di simile succede anche da noi dove Linus, nato qualche anno prima, realizza degli inserti dal titolo esplicito di Provo-Linus (che rievoca il movimento olandese) e Linus il rosso.
Senza trascurare la satira di Cabu, Siné, Wolinski su l’Enragé, il fratello maggiore di Charlie Hebdo. Molti sono poi i manifesti realizzati sempre in Francia dall’Atelier Populaire realizzati da studenti e docenti dell’Ecole des Beaux Arts. Immagini forti, semplici e prepotenti che hanno davvero lasciato il segno. Ma questa piccola mostra ha un grande merito: avere ampliato l’aspetto temporale. Perché è evidente che non tutto il ’68 è nato nel 1968. Giusto quindi rispolverare alcuni episodi che hanno contribuito al botto. Prima i Beat, con i loro capelli lunghi, i jeans, anche velluto millerighe, le chitarre, i vestiti a fiori accompagnati da un odio benpensante degno di miglior causa. Basti rileggersi il lavoro fatto da Matteo Guarnaccia sull’argomento con ampie citazioni del «democratico» Corriere della sera che scriveva «i capelloni come li chiamano qui a Roma sono quei tipi di apparente sesso maschile, che portano capelli lunghi quasi come le donne, fluenti sulle spalle, talvolta con vezzosi riccioletti sul davanti, secondo una moda mutuata dai Beatles, i quattro giovanotti che l’Inghilterra, anziché premiare come recentemente ha fatto, avrebbe dovuto, per rispetto alla propria reputazione, esiliare in Patagonia». Con chiusura che invita a provocarli e menarli.

NON MENO ODIOSE erano le cronache su quanto successo a Milano con lo sgombero della cosiddetta Barbonia City. O il processo per «corruzione di minori» per il pariniano La zanzara. Ecco allora che il razzismo negli Usa, la guerriglia in Africa e Sudamerica, l’invasione sovietica della Cecoslovacchia e il suicidio di protesta di Jan Palach col fuoco, come i monaci buddisti in Vietnam sono tutti momenti forti che non vanno però disgiunti da un dato di fondo: per la prima volta i giovani non stanno al loro posto.
Ascoltano la loro musica, si vestono e pettinano come vogliono, vivono la liberazione sessuale, disertano negli Usa oppure rifiutano i matrimoni riparatori come Franca Viola in Sicilia, si comincia a parlare di ecologia. Un cambio epocale che lascia eredità importanti, e positive, ancora oggi, nonostante tutto quello che si dice in giro.

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