Un altro colpo al Jobs act di Renzi e alla riforma Fornero del licenziamento senza reintegro previsto dalla riforma del 2012. La Corte costituzionale ieri ha accolto il ricorso di legittimità sollevato dal tribunale di Ravenna sulla disparità rispetto ad un licenziamento di tipo economico rispetto a quello per giusta causa. In caso di «manifesta insussistenza» del licenziamento, nel primo caso la reintegra sul posto di lavoro non era automatica come invece previsto per il licenziamento per giusta causa.
La consulta ha ritenuto questa facoltà di scelta del giudice non in linea con la Costituzione. La disposizione, in particolare, sarebbe lesiva dell’articolo 3 sull’uguaglianza dei cittadini.
Per questo motivo i giudici di Ravenna avevano portato la norma davanti alla Corte Costituzionale. Il motivo dell’incostituzionalità sta nel fatto che, per com’è stata modificata, la norma rischia di creare disparità di trattamento ingiustificate tra lavoratori in pari condizioni, cioè licenziati per un motivo (economico o disciplinare) che non si rivela fondato. La Corte mette in evidenza la disomogeneità tra le tutele previste per chi subisce un licenziamento per giusta causa e chi un licenziamento economico.
Per la Corte Costituzionale la differenza di trattamento è «irragionevole» perché, una volta accertato che il licenziamento è illegittimo tutti devono avere diritto alla reintegra, togliendo il potere discrezionale al giudice.
La modifica all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori era stata prevista nella riforma Fornero (legge 92 del 2012). Poi nel 2015 il Jobs act aveva ulteriormente peggiorato la situazione rendendo la reintegra quasi impossibile.
Con le motivazioni pubblicate nelle prossime settimane vedremo se ci potranno essere conseguenze anche per i lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore del Jobs act