Cultura

La concretezza delle parole per comporre una griglia interpretativa

La concretezza delle parole per comporre una griglia interpretativa

SAGGI «Lessico della storia culturale», a cura di Alberto Mario Banti , Vinzia Fiorino, Carlotta Sorba, per Laterza

Pubblicato più di un anno faEdizione del 24 giugno 2023

Lessico della storia culturale (a cura di Alberto Mario Banti , Vinzia Fiorino, Carlotta Sorba, Laterza, pp.296, euro 24) è il titolo di un libro nel quale viene proposto «un percorso costruito intorno ad alcune parole chiave utili a mostrare come la storiografia negli ultimi decenni abbia vissuto la svolta culturale, attraverso quali riferimenti e quali traiettorie quell’incontro si sia sviluppato» a partire dalla «svolta linguistica e le sue implicazioni».
La scelta di articolare i lineamenti generali, le categorie analitiche caratterizzanti la «svolta», nella concretezza di parole indicate secondo criteri di rilevanza, è un indicatore importante del fatto che gli autori teorizzano e praticano la storia culturale interpretando in maniera diversa la «svolta linguistica» rispetto al modo in cui il «postmodernismo feroce» l’ha intesa.

TENUTO CONTO della inesauribilità semantica del termine «postmodernismo», qui ci si riferisce solo ad alcuni aspetti della sua declinazione in storia. In particolare al teorizzato carattere autoesplicativo della narrazione storica. Da cui la convinzione che non esistano differenze sostanziali tra racconto storico e finzione letteraria. Tutti gli schemi analitici per dare senso alla storia non possono non risolversi che in «metaracconto». La ricerca di nessi causali è sempre fuorviante, e dunque non possono esistere criteri di rilevanza attraverso i quali sia possibile impostare una ricerca di senso all’interno della narrazione storica.
Lessico della storia culturale, al contrario, è libro che, non in astratto, ma nella concretezza dell’analisi di parole/concetto, scioglie qualsiasi ambiguità relativa al modo in cui la storia culturale fa riferimento alla «svolta linguistica». Parole chiave come cultura di massa, famiglia, memoria, nazione… compongono una griglia interpretativa di temi assai rilevanti, proprio nell’accezione di «criteri di rilevanza», necessari per porre domande di senso alla conoscenza storica.

Inoltre, dal complesso argomentativo del libro possono giungere indicazioni per non pensare il lungo processo di innovazione storiografica in termini di sostituzione di un «paradigma» a un altro. I criteri dell’innovazione non sono misurabili su sequenze temporali la cui successione è di per sé garante della qualità. L’innovazione non è necessariamente quello che viene dopo. Non esiste nel processo reale una sequenza del tipo: storia etico-politica, storia economico-sociale, storia sociale, storia culturale.

LA QUESTIONE dell’innovazione storiografica è stata un aspetto centrale del discorso sul sapere storico nel corso del XX secolo, in particolare nella seconda metà, in particolare durante i «trenta gloriosi».
È necessario allora riflettere sul sistema di relazioni tra le numerose «svolte» che hanno caratterizzato i processi dell’innovazione tanto epistemologica che metodologica in storiografia, e i contesti di storia nei quali tali «svolte» si sono verificate.
I mutamenti di «paradigma» non rispondono principalmente alle logiche interne del progresso della teoria, o del metodo, quanto piuttosto a mutamenti di rapporti di forza condizionati, per dirla con Bourdieu, da quello che avviene fuori dal campo.
Assai opportunamente Alberto Banti lega la cultura di massa alle condizioni materiali che l’hanno prodotta: «Più di un secolo di lotte sindacali, (…) ha portato milioni di persone a disporre di redditi maggiori da destinare in parte anche all’acquisto di prodotti culturali; (…) tempo libero, uno spazio vitale ritagliato attraverso la diminuzione degli orari di lavoro (…) È attraverso tutto questo insieme di processi che la cultura per l’intrattenimento ha preso la forma di una vera e propria cultura di massa».

E STUART HALL, uno dei padri della storia culturale, ha sollecitato i cultural studies a cercare di capire meglio quale sia «la natura del Capitale», recuperando «un linguaggio economico che non sia economicistico per comprendere il mondo contemporaneo, poiché esso appare dominato da questo tipo di linguaggio. È attraverso di esso che si esprime oggi un intreccio tra cultura e potere».
Vedere di più, dunque, non contro, ma insieme a tutte le componenti dell’innovazione storiografica.

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