Più di metodo e per slogan, ma comunque una svolta. Già riaprire le porte della sala Verde di palazzo Chigi in questi decenni di disintermediazione è sempre un evento. Ma se a farlo sono Mario Draghi – che rivolgendosi ai sindacati rimarca «quanto tenga a questo confronto e a questo dialogo» – e Renato Brunetta per sancire un «Patto» che rilanci il ruolo del lavoro pubblico, allora pare proprio di essere davvero davanti ad un evento epocale.

Ieri mattina lì è stato siglato«Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale» con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri in un clima formale da grandi occasioni.

In realtà il testo è un insieme di proclami e impegni con ben poca sostanza tanto che le categorie coinvolte – Fp Cgil, Cisl Fp e Uilpa – sono rimaste silenti tutto ieri in attesa di iniziare a trattare con il rientrante ministro Renato Brunetta.

IL DUBBIO È GROSSO: l’uomo dei fannulloni ha realmente cambiato idea rispetto a quello che diceva solo pochi mesi fa – «basta smart working, i lavoratori pubblici tornino in ufficio» – o è solo una strategia che durerà il tempo di un annuncio?

Le promesse ribadite ieri da Brunetta sono assai impegnative. Sul tavolo di confronto la riforma della pubblica amministazione ed i rinnovi contrattuali 2019-2021, che interessano 3,2 milioni di dipendenti pubblici e prevedono un aumento medio a regime di circa 107 euro, considerando tutto il personale statale compresi i dirigenti, secondo i calcoli dell’Aran già elaborati sulla base delle risorse stanziate nelle relative tre leggi di Bilancio: risorse che ammontano a 1,1 miliardi per il 2019, 1,750 miliardi per il 2020 e 3,775 miliardi per il 2021 (al lordo dell’elemento perequativo, un «cuscinetto» per i redditi più bassi). Un incremento poco sopra il 4%. Depurandolo dall’elemento perequativo, l’incremento si riduce al 3,8%, a circa 100 euro.

I RINNOVI E LA CONTRATTAZIONE sono proprio uno dei sei punti su cui è costruito il Patto, insieme alla disciplina del lavoro agile; revisione dei sistemi di classificazione professionale; formazione del personale; sistemi di partecipazione sindacale; welfare contrattuale. Per quanto riguarda lo smart working, nella prospettiva di superare la gestione emergenziale – al momento lo stato di emergenza è fissato fino al prossimo 30 aprile e consente il ricorso «semplificato» ovvero senza la necessità di un accordo – si guarda alla sua disciplina nell’ambito dei prossimi contratti 2019-2021: temi come il diritto alla disconnessione, alla formazione specifica, alla protezione dei dati personali.

Una cornice positiva, per i sindacati. «È un atto molto importante sia per i contenuti del Patto sia per il significato che ha», sottolinea Landini, apprezzando «la scelta di investire sul lavoro, sull’innovazione, sulla buona occupazione, sulla formazione» e l’apertura della stagione contrattuale. Luigi Sbarra, neo segretario della Cisl, plaude all’intesa perché da un punto di vista del metodo «entriamo in una fase nuova che esalta il ruolo delle relazioni sociali e sposta il baricentro del diritto amministrativo alla contrattazione collettiva e affida l’ammodernamento della Pa a una impostazione non calata dall’alto ma realmente condivisa». Un buon metodo apprezzato anche da Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil: «Abbiamo apprezzato la scelta del presidente Draghi e del ministro Brunetta. In questo accordo sono previste delle scelte strategiche sugli investimenti, sulla digitalizzazione, sulla semplificazione amministrativa e di conseguenza sono previste cose che fino a ieri non c’erano. Investimenti in nuove assunzioni, nella formazione del personale, nel rinnovo dei contratti.

CRITICI INVECE I SINDACATI di base esclusi dal vertie. «Il “patto per l’innovazione pubblica e la coesione sociale” e il documento programmatico del ministro Brunetta non rispondono affatto alla necessità di fare fronte socialmente, attraverso il lavoro pubblico, agli effetti di questa crisi epocale, bensì esclusivamente al rafforzamento “qualitativo” di una parte ristretta della pubblica amministrazione (alcuni settori del comparto centrale) necessari per programmare e gestire il cosiddetto Recovery fund sotto dettatura della Ue», denuncia Sgb.