Visioni

La complessità di Israele sul grande schermo

La complessità di Israele sul grande schermo

Festival Al Pitigliani Kolno’a la rassegna del cinema ebraico dal 21 al 26 novembre

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 18 novembre 2015

«La storia del cinema israeliano è legata alle complesse vicende del suo popolo», osserva Eldad Golan, addetto alla cultura dell’ ambasciata israeliana a Roma. L’occasione è la presentazione del Pitigliani Kolno’a Festival, la rassegna dedicata alla cinematografia di Israele e di argomento ebraico, che festeggia quest’anno la sua decima edizione e che si terrà dal 21 al 26 novembre tra la Casa del Cinema e lo stesso Centro Pitigliani a Trastevere (www.pitiglianikolnoafestival.it).
Anche la direttrice (insieme a Dan Muggia) Ariela Piattelli sottolinea la «complessità della società» di questo paese mediorientale, che «coincide con quella linguistica del suo cinema». E in effetti la principale attrattiva di una rassegna come quella del Pitigliani è lo sguardo che offre su una delle realtà più articolate e contraddittorie che ci siano, quella appunto della società israeliana, vista dall’interno e raccontata non solo in rapporto alla questione palestinese.

Ad aprire il Festival ad esempio è Zero Motivation, opera prima della regista Talya Lavie, che affronta la vita nell’esercito, la leva obbligatoria, dal punto di vista del genere – femminile – e attraverso la commedia.
Il pregiudizio omofobo nel mondo del calcio e il tema dell’eutanasia – due temi di attualità non solo in Israele – sono l’argomento di altre due commedie: Kicking Out Shoshana di Shay Kanot e The Farewell Party, ambientato in un ospizio di Gerusalemme, di Sharon Maymon e Tal Granit.

Sacred Sperm di Ori Gruder, invece, costituisce uno sguardo dall’interno su un mondo chiuso e poco conosciuto: quello degli ebrei ultra-ortodossi appartenenti alla corrente dello Chassidismo – la stessa che a Venezia 69 Rama Burshtein aveva raccontato con La sposa promessa – tra i quali vige il divieto assoluto di masturbarsi . Il regista divenuto religioso a 30 anni, che presenterà il suo film al pubblico lunedì 23, gira un documentario in cui intervista esperti, amici e rabbini, con lo scopo di spiegare questa interdizione al figlio e mostrando così – nota Ariela Piattelli – «come nelle società ortodosse vengono educati i bambini ma anche gli adulti».

Un altro documentario, Hotline di Silvina Landsmann – che ha debuttato alla Berlinale lo scorso febbraio e verrà proiettato sempre lunedì 23 alla Casa del Cinema – getta una luce su uno dei drammi meno noti che si consumano in Israele: quello dell’immigrazione «clandestina» dall’Africa, punita con il carcere e senza alcuna prospettiva di diventare cittadini con gli stessi diritti degli altri.

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