Arnaldo D’Amico, clinico e ricercatore, ha pubblicato con la casa editrice Il Saggiatore uno studio di grande interesse intitolato La memoria del nemico. Perché ci sono voluti duemila anni per scoprire il sistema immunitario (pp. 333, euro 24,00). Un sistema immunitario efficiente è sempre stato il cardine per la sopravvivenza alle malattie infettive. Quando l’arrivo di un nuovo microrganismo molto aggressivo trova un sistema immunitario impreparato, si verifica una grande moria con selezione degli individui più forti, che, a loro volta, generano discendenti più resistenti. Le malattie infettive esistono sin dalla comparsa sulla Terra dei microbi, circa tre miliardi di anni prima degli animali e delle piante, costituendo un’importante parte dell’ambiente interno ed esterno della specie umana.

UN ESEMPIO paradigmatico di una malattia infettiva che nel corso della storia dell’umanità ha provocato milioni di vittime è la peste, sulla quale l’autore di questo saggio si intrattiene a lungo. La prima epidemia documentata avvenne durante l’Impero Bizantino causando la perdita del 25% della sua popolazione. Fu chiamata peste di Giustiniano, descritta dallo scrittore Procopio di Cesarea, che ne fu testimone, e che si espanse ad Oriente per poi colpire nuovamente il Mediterraneo nei due secoli seguenti. Il secondo ciclo che ebbe effetti devastanti sulla popolazione mondiale cominciò intorno al 1300 in Asia per espandersi negli altri continenti, causando in Europa la morte di 20 milioni di persone tra il 1347 ed il 1350, e continuò a causare epidemie che cessarono solo nel 1800.

Durante le epidemie dalle proporzioni catastrofiche i superstiti erano terrorizzati e vedevano in chiunque si avvicinasse un potenziale «untore». Spesso, in quel clima di terrore della morte che si sentiva così vicina, anche i congiunti potevano essere visti come esseri pericolosi e, quindi, allontanati. In Italia, Boccaccio descrive la peste del 1348 sottolineando che anche il toccare le vesti contagiava la malattia e l’aria era irrespirabile, mentre Manzoni racconta la peste del 1630-31 che causò 1.5 milioni di morti. Ne I promessi sposi descrive l’impatto dell’epidemia e delle nefandezze perpetrate ai danni dei malati dai turpi monatti, scrive come la paura degli untori aveva fatto sì che fossero eretti, quasi in ogni piazza, i palchi per la giustizia sommaria di coloro che potevano destare il sospetto di voler contagiare la malattia. Il terzo ciclo ebbe inizio alla fine del XIX secolo a Hong Kong e Bombay ma non risparmiando i grandi porti internazionali. Il bacillo della peste venne isolato da Alexander Yersin, un batteriologo franco-elvetico nel 1894.

SECONDO lo storico della medicina Mirko Grmek che elaborò il concetto di «patocenosi», per indicare « l’insieme degli stati patologici presenti in una determinata popolazione in un certo momento e spazio», è necessario, che si produca un cambiamento ambientale affinché alcune forme infettive più gravi riescano ad emergere dalla lotta per la sopravvivenza tra tutte quelle presenti; così molte malattie agiscono nel senso di contrastare o favorire lo sviluppo delle altre e quelle più frequenti «nascondono» o impediscono che quelle più rare arrivino a diffondersi.
Il XX secolo ha visto enormi miglioramenti nella cura e nella prevenzione delle malattie infettive e i progressi compiuti nell’ambito dell’igiene pubblica e personale hanno fatto sì che malattie come il colera, il tifo e le infezioni durante il parto siano diventate rare. Oggi le malattie infettive sono ancora responsabili di circa 17 milioni di morti all’anno, un terzo della mortalità mondiale. Questo dato aumenta ancor di più nei paesi che non hanno facile accesso economico ai farmaci e ai vaccini, causando il 43% dei decessi.