Segnali di inversione sociale europea. Dopo la Bce che martedì ha chiesto di tassare i ricchi, ieri la Commissione europea ha chiesto agli stati membri di aumentare il reddito minimo. L’espressione usata è ambigua: non si tratta né del Reddito di cittadinanza (sul quale ieri il commissario Schmit ha detto che cancellarlo in Italia non ha senso) né del salario minimo orario.

Connota invece il sussidio che va a colmare il divario tra reddito percepito e il livello di entrate necessario per vivere una vita dignitosa, oltre la soglia di povertà. Il focus è sugli strumenti di lotta alla povertà, dunque. Ma contiene anche gli «ammortizzatori sociali», campo nel quale l’Italia è messa molto meglio della stragrande maggioranza dei paesi Ue.

Più di una persona su cinque nell’Ue – 94,5 milioni già nel 2021 – era a rischio di povertà o esclusione sociale, e con l’inflazione al 9,1% sono i più poveri a farne le spese. L’esecutivo europeo chiede che il Consiglio adotti una raccomandazione agli Stati perché rendano più efficaci i regimi di reddito minimo.

Lo scopo è raggiungere gli obiettivi sociali dell’Ue al 2030: di ridurre di 15 milioni le persone a rischio di povertà. La Commissione ricorda che gli Stati membri possono usare il Fondo sociale europeo da 99,3 miliardi, di cui il 25% è per l’inclusione sociale.

«I poveri non possono aspettare fino al 2030 per l’attuazione delle raccomandazioni – afferma Liina Carr dell’Etuc, il sindacato europeo, – senza mantenere ora il potere d’acquisto, la crescente disuguaglianza passerà da un divario a un abisso sociale».