Visioni

La comica tragedia del Nordest

La comica tragedia del NordestL'amore è un cane blu di Paolo Rossi

A teatro Paolo Rossi torna con un racconto in prima persona «L'amore è un cane blu»

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 26 ottobre 2013

Cambia registro Paolo Rossi, attore di fama e di successo, nel suo ultimo spettacolo, che potrà perfino sorprendere i suoi seguaci più affezionati. L’amore è un cane blu (al Vittoria, fino al 3 novembre) è infatti un racconto «in prima persona», che segue le tracce biografiche dell’artista, almeno quelle della infanzia vissuta nell’estremo Nordest (è nato a Monfalcone) rivisitato come terra insieme promessa e delusa. La definizione del titolo è infatti la metafora che dovrebbe rivelare un uomo innamorato, attraverso le sue visioni; la meta di questo attraversamento del Carso come fosse il West della mitologia americana; l’happy end di una vita che cerca perfino la propria «normalità».

Invece, come si sa, il Carso è strutturalmente caratterizzato da caverne improvvise e da sotterranei corsi d’acqua, che rendono imprevedibile il suo attraversamento. Come la vita appunto. Perché Rossi confessa di essere partito proprio dalle proprie esperienze, sentimentali come politiche, per questa sorta di ricerca di se stesso. Senza poter rinunciare, è chiaro, al proprio spirito irrefrenabile, alla sua cinica lucidità, e alla sua simpatia incontenibile.

Con un risultato che può perfino disorientare, o deludere, chi si è abituato alle sue sferzate politiche. Che ci sono certo anche qui, ma quasi incidentali, tanto per collocare nella storia e nella società italiana sentimenti più privati, dolori ed emozioni essenzialmente propri. Cui fa da binario sicuro la musica dei Virtuosi del Carso, una band tanto «disponibile» e fracassona quanto impeccabile nelle esecuzioni, guidata da Emanuele Dell’Aquila (che denuncia ben presto le sue ascendenze pugliesi), in grado di spaziare dalle colonne sonore famose a quelle composte per questa occasione, fino alle belle canzoni che ogni tanto si ritagliano la loro attenzione.

La «confusione», finta ma ben artefatta, comincia dalla scenografia, occupata fino all’inverosimile da uno sterminato bric à brac di trovarobato, in cui molte cose trovano prima o poi una funzione, ma molte di più ne rimangono prive, utili solo a denunciare e dipingere uno stato d’animo, una situazione esistenziale, oppure il set di un impossibile film. Quello appunto che Rossi tenta di raccontare e montare, ogni momento diverso, soverchiato però dalla sua stessa simpatia, e dal disincanto di un occhio che dietro le apparenze, e le memorie di una infanzia avventurosa, sollecitano vivaci risate e anche una sorta di comunione empatica col pubblico.

Insomma, pur nella sua apparente mancanza di compiutezza (è scritto sul palco e più volte ripetuto dall’attore «questa è solo una prova»), lo spettacolo ci fa conoscere un Paolo Rossi più maturo e sofferto del solito. La sua padronanza tecnica (quasi una eredità di commedia dell’arte) e il suo gusto della battuta, la sua impertinenza a volte espressa solo con un’occhiata, garantiscono il divertimento. Ma ci fanno intravedere, in quella inesausta ricerca del «cane blu», anche un certo sapore di sofferta malinconia.

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