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La classica rinasce ma il pubblico di domani rischia di sparire

La classica rinasce ma il pubblico di domani rischia di sparireL’orchestra Mozart, sotto Gaston Fournier-Facio – foto di Marco Caselli Nirman

A teatro Parla Gaston Fournier- Facio, consulente artistico dell’Orchestra Mozart, ultimo gioiello di Abbado. «Solo le scelte politiche possono modificare il panorama: si sono finanziati conservatori con spese ingenti, ma nulla si fa per l’insegnamento musicale nelle scuole»

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 27 aprile 2019

Tenacia e sorriso sono il marchio di fabbrica di Gaston Fournier-Facio, da poco scelto come consulente artistico dell’Orchestra Mozart, che in questi giorni suona a Bologna (Teatro Manzoni, oggi e domani alle 17, Mozart, Beethoven, Schubert e Mendelssonn, Haitink sul podio ). Di origine costaricense, organizzatore musicale e studioso – un paio di corposi volumi curati su Wagner e su Mahler – Fournier-Facio ha lavorato al Maggio Fiorentino, all’Accademia di Santa Cecilia, alla Scala e è stato direttore artistico al Teatro Regio di Torino prima del nuovo corso voluto dalla sindaca Appendino.

Come avete ridato vita a un’orchestra che si era praticamente fermata?

Si era fermata per tre anni dalla morte di Abbado, nel gennaio 2014, quando sono venuti meno i finanziamenti che Claudio aveva saputo trovare con il suo prestigio. I cinque musicisti del board, che hanno condiviso l’avventura della Mozart sin dall’inizio, nel 2017 hanno contattato Bernard Haitink per un concerto a Bologna e uno a Lugano. Il successo è stato tale che il direttore del LAC di Lugano ha proposto per il 2018 una residenza, un piccolo festival con musica da camera e due programmi sinfonici, da ripresentare poi a Bologna. Lo stiamo riproponendo adesso e il programma del 2020 è quasi pronto.

Riaprire un’orchestra nel panorama culturale attuale ha il sapore di una sfida

Quest’orchestra però ha due particolarità: la sede amministrativa è la Regia Accademia Filarmonica di Bologna, istituzione nata nel 1666; qui Mozart venne a fare l’esame con Padre Martini e divenne il più giovane accademico della storia. Il prossimo anno dedicheremo parte dei nostri concerti proprio ai 250 anni del viaggio italiano di Mozart e alla visita a Bologna. La parte artistica dell’orchestra invece è disseminata per ogni dove, perché ci sono musicisti provenienti da ogni parte del mondo: tutti hanno una posizione in orchestra, soprattutto in Europa, ma si ritrovano per il piacere di fare musica insieme.

Il prossimo anno però Haitink prende un anno sabbatico. Chi sarà il direttore?

Naturalmente Haitink non intende essere il nostro candidato per il futuro. Il mio compito principale è stato proprio quello di individuare un nuovo direttore musicale per il 2020 e sono felice perché abbiamo messo insieme una rosa di nomi davvero interessanti

Amplierete l’attività?

L’obiettivo è raggiungere tre momenti annuali di aggregazione e una nuova residenza.

Rispetto ai grandi teatri che tipo di impegno propone l’Orchestra Mozart?

Rispetto ai teatri e all’Accademia di Santa Cecilia, dove ho lavorato, l’orchestra Mozart è diversa per struttura, finanziamenti e per l’assenza di problematiche sindacali. Perfino la gestione degli aggiunti è avvenuta attraverso i contatti dei musicisti del board, autogestita dall’orchestra.

Che futuro vede per le fondazioni lirico sinfoniche? La sua esperienza a Torino si è interrotta bruscamente.

Ci sono dei modelli positivi come l’Opera di Roma, dove il sovrintendente Fuortes ha trasformato un teatro poco produttivo con molto deficit in un teatro che produce di più e con alta qualità, hanno anche Daniele Gatti come direttore musicale. Quanto a Torino resto convinto che non serva una stagione tutta italiana: metà programmazione di un teatro dovrebbe guardare a repertori diversi da quello italiano e anche al contemporaneo. Non è facile, perché i teatri devono fare sempre più i conti con il botteghino.

Spesso lo stato finanzia con la mano destra e con la sinistra toglie.

Basta leggere le percentuali delle spese culturali italiane in paragone a quelle della Germania, della Francia e della Spagna: la distanza è impressionate. Sono favorevole a un finanziamento pubblico con seri controlli: non mi sembra che la spinta all’ingresso dei privati, sistema Art Bonus compreso, abbia dato risultati così incoraggianti.

Come vede il pubblico del futuro?

In Italia non si insegna musica nelle scuole, intendo lezioni tenute da docenti preparati al conservatorio. Le nuove generazioni non incontrano mai la musica classica, se non per tradizione di famiglia. Non si può amare un linguaggio che non si conosce. Le altre musiche, specie commerciali, dominano nei media e sui social network. Nel giro di dieci anni secondo me riscontreremo un calo di pubblico serio, la situazione rischia di diventare drammatica. I segnali positivi vengono dal pubblico che già frequenta concerti e teatri, diventato più aperto: ce ne eravamo accorti alla Scala con Lissner e anche a Torino gli esperimenti con Janacek e con la musica barocca sono stati incoraggianti.

Resta una questione politica?

Solo le scelte politiche possono cambiare il panorama: si sono finanziati nuovi conservatori, con spese ingenti, ma non si fa nulla per l’educazione musicale nei percorsi scolastici generali. Gli appelli di Abbado e Muti al parlamento sono caduti nel vuoto. C’è un blocco di totale insensibilità nella classe politica che verso la musica e la cultura si comporta esattamente come sulle tematiche ecologiche. Conta solo l’oggi, con una totale mancanza di prospettiva sul domani.

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