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La classe operaia all’epoca del Coronavirus

La classe operaia all’epoca del CoronavirusDal film "La classe operaia non va in paradiso"

Governo La classe operaia viene trattata come la casta dei paria, la classe che è la spina dorsale dell’economia produttiva e, adesso che la logistica assume un’importanza cruciale, anche i lavoratori superproletarizzati di questo settore che vengono sfruttati con ritmi e condizioni sconci

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 13 marzo 2020

Ho dedicato tutta la mia vita ad impegnarmi con il massimo di onestà intellettuale e di coerenza che mi sono state possibili a ribellarmi alle ingiustizie e ai soprusi. Ho sempre preso parte per gli ultimi, gli sfruttati, i vessati, i discriminati e ho combattuto con tutte le mie forze contro le disuguaglianze generate dalla logica del privilegio, fonte di ogni depravazione e crimine in qualsivoglia società degna del attributo di civile.

Anche di quelle sedicenti democratiche, perché laddove non vige il principio dell’uguaglianza, non è data ne democrazia ne libertà. In questi giorni in cui gran parte del mondo è colpito dalla pandemia del coronavirus e, il nostro Paese ne soffre con particolare virulenza, come milioni di altri italiani, resto a casa in quarantena, con disciplina, mantengo la distanza raccomandata anche con i miei familiari, non esco di casa, ottempero alle disposizioni emanate dal governo, perché pur essendo «antigovernativo» per vocazione, anche nei confronti dei governi che ho votato, pratico il principio della massima responsabilità.

È UN’ATTITUDINE PARADOSSALE ma salvifica per chi pratica la professione della cultura e del pensiero. In quest’occasione così drammatica, da cittadino, ho voluto dare piena fiducia al governo Conte confidando nell’equità dei suoi provvedimenti. Poi vengo a scoprire che nel decreto ministeriale a proposito delle attività produttive, al punto 6, comma d) è scritto: assumano protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuali.

Quali? Le mascherine che non ci sono? O che vengono vendute a prezzi da borsa nera da mascalzoni che speculano sul panico? E dopo avere detto urbi et orbi che la funzione della mascherina non è quella della protezione dal contagio ma quella di proteggere chi opera a stretto contatto con i contagiati?

PERCHÉ SOLO GLI OPERAI possono essere non protetti o meno protetti? Perché il pensiero al diritto ad essere protetti dal contagio non viene automaticamente esteso agli operai? Perché sono necessarie proteste, scioperi e dure dichiarazioni sindacali perché la questione diventi all’ordine del giorno?

Perché la classe operaia viene trattata come la casta dei paria, la classe che è la spina dorsale dell’economia produttiva e, adesso che la logistica assume un’importanza cruciale, anche i lavoratori superproletarizzati di questo settore che vengono sfruttati con ritmi e condizioni sconci.

E ADESSO, che tutto il Paese ha la necessità di essere messo davvero in sicurezza, una volta di più gli ultimi nei confronti dei quali si pensa ad estendere il diritto alla sicurezza sul posto di lavoro, ecco che sono i lavoratori industriali. La classe operaia è stata ed è uno dei pilastri istitutivi di ogni grande democrazia, la sua cultura fondata sul lavoro non solo come mezzo di sostentamento, ma come condizione della dignità personale e sociale ha innervato le conquiste più significative delle società più avanzate.

Recentemente il professor Claudio Magris mi raccontava di aver visitato le leggendarie acciaierie Lenin di Danzica, oggi trasformate in un museo di Solidarnosc, il movimento sindacale e politico che in Polonia contribuì a rovesciare il regime di cosiddetto socialismo reale. Il grande scrittore triestino si è espresso così a proposito di ciò che ha potuto constatare nel corso di quella visita: «Ho visto plasticamente il crepuscolo della classe operaia. Ed è una catastrofe, perché è stata l’unica classe, in quanto tale, portatrice dell’universale». Quando la pandemia del corona virus dopo avere percorso il suo iter scomparirà dal nostro orizzonte, sarà utile, sulla scorta delle lezioni che ci avrà imposto, ridefinire le nostre priorità nelle agende politiche e sociali.

DOVREMO RI-IMPARARE a costruire società e comunità, dovremo ri-imparare a rispettare i valori che ci radicano in un’identità democratica sostanziale, non in una retorica della democrazia che galleggia sul caos degli opinionismi, sul magma dei narcisismi contrapposti di una mediocre classe dirigente priva di autorevolezza. Sarà necessario ri-imparare il rispetto di chi edifica e non di chi starnazza e la classe operaia è forza edificatrice che appartiene alla centralità democratica.

In conclusione mi sia permessa un’ultima domanda: che ci vengono a fare in Italia e in tutta Europa in questo momento 30 mila militari americani armati di tutto punto che si muovono senza precauzioni? Rispondo da me con un whatsapp che ho ricevuto ieri: La Cina ci invia 1000 respiratori e 100 mila mascherine/ la Ue un conto da cento miliardi per le sue banche/ gli
Stati uniti 30 mila marines in assetto di guerra. Forse dobbiamo rivedere le nostre «amicizie».

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