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La «class action» che paga

La «class action» che pagaLo schema dell'accordo segreto nella Silicon Valley

Silicon Valley Un accordo tra Google, Apple, Intel, Pixar, Intuit, Adobe, Intel per contenere i salari Nella Silicon Valley. Denunciato dai dipendenti con una "class action" ha portato a un patteggiamento dove le società dovranno versare 3 miliardi di dollari da dividere tra i lavoratori

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 29 aprile 2014

Più passano i giorni, più la stampa americana tinge di giallo una vicenda che potrebbe essere archiviata come «scene di lotta di classe nella Silicon Valley». Tutto ha avuto inizio con una class action di 64mila dipendenti delle maggiori imprese high-tech contro un accordo che Google, Apple, Adobe, Intel, Pixar, Lucasfilm, Intuit hanno sottoscritto segretamente per non assumere dipendenti delle rispettive società offrendo salari più alti.

L’accordo ha preso forma nel 2005 e ha visto come «ispiratore» Steve Jobs, che in una mail inviata a uno dei fondatori di Google, Sergej Brin, e all’allora amministratore delegato della società del motore di ricerca, Eric Schmidt, proponeva il patto, da estendere da altre imprese. Cosa poi avvenuta. I firmatari si sono attenuti ad esso, eccetto una volta, quando un head hunter di Apple cercò di assumere un dipendente di Google. Il «cacciatore di teste» fu in seguito licenziato senza troppi complimenti con tanto di lettera, segreta, di scuse della Apple. La grande assente nell’accordo è Facebook: non lo ha mai voluto sottoscrivere in nome della libera concorrenza per quanto riguarda il «reclutamento» dei propri dipendenti.

La class action è andata avanti e ha visto un primo patteggiamento con Intel, Pixar, Lucafilm e Intuit che si sono impegnate a versare ai propri dipendenti 320 milioni di dollari. La settimana scorsa, i restanti partecipanti alla «class action» hanno invece raggiunto un accordo con Apple, Google e Adode, con il versamento delle tre imprese, come mancato aumento dei salari, di 3 miliardi di dollari ai propri dipendenti.

La vicenda, che non è certo una novità negli Stati Uniti, dove spesso i conflitti sindacali assumono la forma di controversie giuridiche come la «class action», sarebbe stata registrata come una delle tante vicende di un settore produttivo considerato strategico negli Stati Uniti. Ad alzare il livello di attenzione è stata la morte di uno dei promotori della «class action», Brandon Marshall, deceduto in una colluttazione con la polizia dopo che era stato fermato. Una morte che, secondo la stampa statunitense, New York Times in testa, presenta lati oscuri. Da questo punto in poi, la «scena di una lotta di classe» si è tinta di giallo.

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