La civiltà del pane, da Betlemme al «neotradizionalismo» di oggi
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La civiltà del pane, da Betlemme al «neotradizionalismo» di oggi

Il saggio Storia e Civiltà del Pane (ed. Express) dell’antropologa alimentare Lucia Galasso è denso e gustoso come l’oggetto della sua trattazione, ovvero il cibo che è nutrimento e cornucopia […]
Pubblicato circa un anno faEdizione del 3 agosto 2023

Il saggio Storia e Civiltà del Pane (ed. Express) dell’antropologa alimentare Lucia Galasso è denso e gustoso come l’oggetto della sua trattazione, ovvero il cibo che è nutrimento e cornucopia di simboli, cosmogonie, capace di raccontare l’umanità dai suoi albori fino al confuso presente. Scorrono avvincenti capitoli che parlano di semi e cereali e passano con disinvoltura dagli utensili connessi alla panificazione alle patologie nutrizionali, dai riti funebri che coinvolgono il pane ai calendari delle feste agricole.

SI IMPARA DI SCOPERTE archeobotaniche e chimica della levitazione, ma la cosa più importante Galasso la butta lì dopo duecento pagine, addentrandosi nei recessi dell’antropologia del pane. L’autrice traccia la parabola del pane bianco che da materia viva e deperibile nell’antichità, spiega, è diventato a fine ’800 bene di consumo stabile e approda oggi a una scena simbolica ribaltata dove è la sua versione nera/integrale, associata a naturalità e salubrità, ad assurgere a segno di raffinatezza a tavola.

AL DI LÀ DELLA PONDERAZIONE di sacrosanti fattori dietetici (le farine meno raffinate sono più digeribili e nutrienti) fondamentale è l’analisi di un contesto sociale dove imperversa la retorica di una tradizione alimentare sempre e solo buona, dominata dalla vittoria di simboli vuoti e marketing senz’anima. «Siamo in pieno neotradizionalismo dove il consumo dell’autentico è un processo di invenzione della tradizione».

SIAMO ANCHE ALLA SURROGA della memoria, alla brama di un passato immaginario che rischia di sfociare nella glorificazione di radici, orticelli e campanili. E dire che la storia del pane è la dimostrazione che guardando al di là del proprio naso si rinvengono legami e assonanze tra le proprie e altrui tipicità. I riti, le parole, i gesti del pane accomunano civiltà lontane nello spazio e nel tempo, come a dire che proprio studiando culture diverse salta all’occhio il fatto di essere parte tutti della stessa storia.

GLI EGIZIANI RIPRODUCENDO quasi in formato giocattolo cucine e forni per deporli nelle tombe a beneficio dei defunti hanno fornito agli archeologi informazioni preziose su società, alimentazione e panificazione di allora. I Romani, per cui il pane (una galletta quasi biscottata) era fonte di energia tascabile in battaglia, hanno collocato una Divinità a tutela di ogni fase del processo di creazione del pane.

I CRISTIANI HANNO PORTATO spiritualità dentro riti che a Roma servivano ad amministrare la quotidianità della mensa, mettendo il pane al centro delle loro liturgia e del vocabolario. Le parole sono capsule del tempo colme di indizi, legami e marcatori di distinzioni di genere e destini; Galasso cita quelle dell’autore greco Ateneo che in una sola opera indica 72 prodotti da forno diversi i cui nomi sono collegati alle qualità delle farine; racconta come nell’inglese moderno lady designa «colei che lavora il pane» mentre lord sta per «colui che ha in custodia il pane». E il nome Betlemme in ebraico significa «casa del pane», e in arabo «casa della carne».

LA RICOGNIZIONE SUI TIPI, e i significati, delle diverse forme di pane che sono arte in Sardegna schiude ricordi dell’infanzia del mondo e di chiunque abbia fatto esperienza di panini intrecciati come mani, di quelli incisi con uno spacco a croce (rimando in certi casi alla vulva, il pane ha sempre a che fare con fertilità e riproduzione), di pani della festa progenitori di panettoni e colombe inseriti nel merchandising che scandisce il presente. La riflessione di Galasso è precisa: l’«antica fame di cibo è stata soppiantata da fame di comunità che l’uomo contemporaneo malato di complessità e slegato dai ritmi temporali del calendario della tradizione tenta di recuperare attraverso la mediazione della tavola, cercando luoghi affettivi e relazionali». Infine le parole sul pane e l’«Ucraina, flagellato granaio d’Europa», fanno da contraltare all’incipit che prende le mosse dall’autarchia panificatoria dei giorni di lockdown.

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