“La città senza” ebrei, rifugiati
Il film Ritrovato, restaurato e presentato alla mostra viennese "Die Stadt ohne Jeden" inizia il tour al Jewish Film Festival di New York
Il film Ritrovato, restaurato e presentato alla mostra viennese "Die Stadt ohne Jeden" inizia il tour al Jewish Film Festival di New York
Un libro premonitore, “romanzo del dopodomani”, era concepito dall’autore come commedia, non immaginando che quel che accadrà potesse mai accadere. Parliamo di Die Stadt ohne Juden, La città senza ebrei di Hugo Bettauer. Uscì a Vienna nel 1922, (in Italia lo pubblicò Donzelli nel 2000), 250 000 copie vendute, allora, un bestseller. Ne seguì il film muto omonimo, prodotto da Karl Breslauer nel 1924, a lungo caduto nel dimenticatoio. Si erano salvate solo versioni parziali, quella integrale data per smarrita. Nel 2015 a sorpresa a Parigi, al mercato delle pulci il ritrovamento clamoroso del film austriaco La città senza ebrei in versione integrale. Era in condizioni vicine alla disgregazione chimica. Il Filmarchiv Austria- cineteca austriaca è riuscito a restaurarlo grazie a un’ azione vasta ed inedita di crowdfounding. Per la prima mondiale del film quest’anno a Vienna, è stata allestita una mostra che allarga il campo di riflessione ai giorni nostri La città senza- ebrei, musulmani, rifugiati stranieri. E’ in corso a Vienna al Cinema-Casa della cultura Metro fino alla fine di dicembre, accompagnando l’anno denso di ricorrenze storiche, dall’ottantesimo anniversario dell’ Anschluss, annessione alla Germania nazista ai 100 anni dalla nascita della prima repubblica austriaca il 12 novembre 1918 dopo il crollo dell’impero.
Il romanzo di Bettauer, satira politica del clima di antisemitismo crescente degli anni 20 raccontava una vicenda paradossale. Per compiacere il popolo il parlamento promulga un editto per bandire gli ebrei da Vienna. Espulsi gli ebrei ogni cosa entra immediatamente in crisi, la Vienna cosmopolita si trasforma in un gretto villaggio, tanto che toccato il fondo gli autoctoni si ricredono e gli ebrei vengono richiamati. Il romanzo termina in una festosa cornice di riconciliazione. Bettauer infatti -scrittore e giornalista brillante, che si batteva anche per i diritti di donne e omosessuali nella sua rivista La rivoluzione erotica– era convinto della possibilità di una pacifica convivenza fra le religioni e popoli. La realtà sarebbe stata ben diversa. Bettauer, ebreo e libertario divenne l’oggetto d’odio ideale di cristianosociali e nazisti in ascesa, che incolpavano gli ebrei della crisi e miseria nera che erano le conseguenze della guerra. Nel 1925 Bettauer fu ucciso a freddo con cinque colpi di pistola da un nazista che entrò nel suo studio.
“Si può o persino si deve paragonare, e fino a che punto, la polarizzazione sociale all’inizio dell’ascesa del nazionalsocialismo con il presente” si sono chiesti i curatori di La città senza nel nutrito volume omonimo di saggi dedicato concludendo che si tratta di “uno stimolo a pensare, di confrontare senza equiparare”.
Entriamo nella sala prologo, ecco la città senza ebrei diventata realtà: le abitazioni abbandonate di ebrei viennesi- era la comunità più grande nei paesi di lingua tedesca- costretti a fuggire fotografate tra aprile e luglio 1938. Scorrono scene del film del 1924 che mostrano la gioia dei viennesi ‘autoctoni’ per le case liberate da occupare, anche queste diventate realtà. L’epilogo della storia è noto. E’ raccontato con pochi oggetti, la valigia di Freud, le liste delle deportazioni, la vicenda di Heinz Geiringer che fuggì da Vienna nel ’38, dal ’42 al ’44 visse nascosto ad Amsterdam in una casa vicina a quella di Anna Frank. Scoperto finì come lei, deportato e sterminato. I paragoni col presente riguardano il periodo che ha preceduto quell’esito, i meccanismi di esclusione nei confronti dei singoli gruppi messi al margine . Un processo in tappe, dalla creazione dei capri espiatori, alla perdita crescente di empatia nei loro confronti che porta in poi all’accettazione delle misure di emarginazione fino alla brutalizzazione della società che alla fine alza le mani in prima persona contro gli emarginati infine totalmente esclusi. Per ciascun gradino sulla scala di disumanità gli esempi attuali ci sono a bizzeffe, la città senza si limita al caso austriaco.
Eccone alcuni. Manifesti elettorali della Nsdap,1932, elezioni comunali di Vienna “500 000 disoccupati/400 000 ebrei (il doppio del vero nda), la soluzione è molto semplice! Votate nazionalsocialista”. Uguale un manifesto elettorale della Fpoe di Joerg Haider negli anni ’90: “310 000 disoccupati/360 000 stranieri”. Manifesto della Fpoe contro un centro di accoglienza a Vienna, 2016. “Più stranieri vivono dei soldi dei viennesi più i viennesi diventano poveri”. Perdita di empatia,1938, all’indomani dell’annessione. Passanti comuni viennesi accerchiano divertiti gli ebrei umiliati dai nazisti costretti a pulire i marciapiedi in ginocchio con spazzolini da denti e soda caustica. Come esempio attuale di mancanza di empatia la mostra indica il cancelliere Sebastian Kurz. Nel 2016, allora ministro degli esteri propugnando la chiusura della rotta balcanica, avvertiva “che non sarà possibile senza immagini brutte ai confini”, ‘immagini brutte’ la catastrofe umanitaria che andava accettata.
“Quel che ai nostri padri era l’ebreo per noi è la canaglia islamica. State in guardia,Terza guerra mondiale, ottava crociata” la scritta recente sul muro esterno del campo di concentramento di Mauthausen spesso imbrattato. La xenofobia anti islamica ha preso il posto dell’ antisemitismo? L’estrema destra della Fpoe ne coltiva entrambi, il secondo ora più nei retrobottega e in codice.
Come oggi ai musulmani agli ebrei alla fine del 800 fu chiesto di assimilarsi come presupposto per l’integrazione, di epurare dunque la religione dai connotati culturali di diversità, scrive John Bunzl studioso di medio oriente e di storia ebraica analizzando analogie e differenze tra modelli di argomentazione antisemiti e anti- musulmani. Già allora si parlava di società parallela, chiusa e ostile all’integrazione. Al contempo erano oggetti di odio degli antisemiti anche gli ebrei perfettamente integrati. Altra analogia si può riscontrare secondo Bunzl nella scandalizzazione selettiva di singoli passaggi dai rispettivi testi del talmud o del corano per stigmatizzare interi gruppi di popolazione. Infine l’ alterizzazione degli ebrei come razza straniera asiatica –l’idea riecheggiava alle elezioni politiche del ’70 dove il partito popolare pubblicizzò il proprio candidato come ‘un vero austriaco’ contro il socialdemocratico Bruno Kreisky, sottinteso altro in quanto ebreo (che poi vinse diventando il cancelliere austriaco più popolare di sempre), – e traspare oggi nell’avversione verso gli orientali.
Nello stesso tempo un altra argomentazione metteva in guardia contro una cultura mista tedesco ebraica, la Ueberfremdung, mutazione etnica “attraverso orientali che parlano il tedesco”(“ebraicizzazione”) in analogia coi discorsi odierni sulla islamizzazione, riferiti più alla presenza di migranti identificati coll’ islam che alla diffusione di una pratica religiosa repressiva. La differenza tra le due argomentazioni, l’antisemitismo del 19esimo secolo era una specie di difesa dalla modernità considerando gli ebrei come rappresentanti insieme del capitalismo, del comunismo, del liberalismo e del femminismo. Al contrario l’antiislamismo osserva Bunzl si presenta come difesa della modernità strumentalizzando in questo senso i diritti umani e i diritti delle donne. Un discorso che ha aperto all’estrema destra nuove strade verso settori di popolazione più ampi che rifiutavano i discorsi sulla mutazione etnica ma sono sensibili alla propaganda sull’islamizzazione.
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