La città ipnotica
Mostre Al Madre, l'installazione di Daniel Buren «Come un gioco da bambini»
Mostre Al Madre, l'installazione di Daniel Buren «Come un gioco da bambini»
Cubi, cilindri, timpani triangolari, archi: il classico gioco delle costruzioni dei bambini, ma su scala più grande, occupa la sala al piano terra del museo Madre di Napoli. È l’installazione di Daniel Buren Come un gioco da bambini, a cura di Andrea Viliani e Eugenio Viola in collaborazione con il Musée d’Art Moderne et Contemporain di Strasburgo (visitabile fino al 31 agosto). Nella prima sezione della sala gli elementi sono completamente bianchi, come le pareti intorno e l’illuminazione, l’effetto è quasi abbagliante. Procedendo tra un’architettura fantastica e l’altra, ci si ritrova nella seconda sezione: qui le forme prendono colore, arancione, verde, giallo, rosso, azzurro e così via. Le tonalità assorbono la luce, lo spettatore si ritrova in uno spazio che sembra assolutamente differente: «Tutto l’ambiente ha la stessa illuminazione ma la mancanza o presenza dei colori modifica la nostra risposta agli oggetti – spiega Buren -. Volevo lavorare sulla percezione dello spazio, come la nostra retina elabora in modo differente strutture che pure hanno la medesima forma e grandezza».
L’intervento proposto a Napoli, allestito in collaborazione con l’architetto Patrick Bouchain, è già stato presentato a Strasburgo ma, proprio come gli incastri dei cubi, è stato smontato e rimontato mostrando nuove potenzialità: «Per me il colore è pensiero puro – prosegue Buren – e quindi inesprimibile, altrettanto astratto come una formula matematica o un concetto filosofico». L’effetto complessivo ricorda un lido turistico dei primi del ’900. Voltandosi a osservare l’ingresso l’occhio viene catturato da una fila di cubi forati al centro: lo spazio interno è rivestito da cerchi neri, ipnotici, formati da righe di 8,7 cm, segno ricorrente e distintivo delle opere di Buren. Si produce così una sorta di cannocchiale che, dal fondo della sala, indirizza lo sguardo fino all’ingresso principale e poi oltre, sulla strada.
È la città che trova una via per penetrare nelle architetture frutto di un gioco affidato agli adulti: «Spesso si indica qualcosa facile da fare con l’espressione ’è un gioco da bambini’, come se non valesse nulla – prosegue l’artista -. A me l’idea di realizzare cose che saprebbero fare i bambini piace. Lo dicono anche alcune opere di Picasso, Pollock, Matisse. La cosa che non dicono è che i bambini tra i 2 e i 9 anni sono artisti bravissimi, dipingono, disegnano, sono magnifici e allo stesso tempo rendono la creazione facile. Rendono naturale l’estremamente complesso. Un artista, per arrivare a questo livello, spesso impiega quarant’anni di lavoro».
Buren ha una lunga consuetudine con Napoli, cominciata nel 1972 con Lucio Amelio e proseguita con l’intervento sulla facciata e lo spazio antistante il palazzo di Abc, l’azienda idrica comunale. Nella seconda metà degli anni 2000, su impulso di Graziella Lonardi Buontempo, fece parte di un gruppo di artisti che elaborò un progetto per la riqualificazione delle strutture dismesse dell’ex Italsider di Bagnoli, incluso il parco urbano e la spiaggia: «Eravamo in cinque, tra cui ricordo Kounellis. L’idea era trasformare il corpo di fabbrica principale, una bellissima archeologia industriale, in un luogo di esposizione, laboratori e residenze per artisti. L’intera area, fino alla spiaggia, sarebbe stata invasa dall’intervento, incluso il pontile che si incunea nel mare per un chilometro. Il progetto era di trasformare anche quello in un’opera. Avremmo voluto rendere funzionale l’intera area intorno alle attività legate all’arte. Non se n’è fatto nulla»
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