Se nella nostra penisola La città incantata di Hayao Miyazaki è stato da poco riproposto nelle sale, dal primo al sei luglio scorso, quasi contemporaneamente nell’arcipelago si è concluso il tour che ha portato l’adattamento teatrale del lungometraggio prodotto dallo Studio Ghibli nel 2001 in tour per il Giappone. Dopo più di tre mesi di spettacoli, cominciati a marzo nella capitale, che hanno toccato i teatri più prestigiosi del Sol Levante, la città di Nagoya, nel Giappone centrale, ha ospitato l’ultima tappa di un adattamento che ha riscosso i favori della critica, ma anche del pubblico, i biglietti erano quasi introvabili.

Il progetto nasce dalla collaborazione della Toho Stage, il braccio teatrale della famosa casa di produzione cinematografica, con John Caird, regista teatrale britannico membro della Royal Shakespeare Company che in Giappone aveva già lavorato in precedenza. In occasione del novantesimo anniversario della compagnia teatrale nipponica e con l’approvazione di Miyazaki e del produttore Ghibli Toshio Suzuki, è nato l’adattamento di uno dei film di animazione più noti e significativi che siano mai stati realizzati nell’arcipelago giapponese. Se già da tempo vengono spesso portate sul palcoscenico opere animate, in passato era toccato ad un’altro grande lavoro di Miyazaki, Nausicaä della Valle del vento, che era stato adattato per il teatro kabuki e che, fra l’altro, tornerà nei teatri dell’arcipelago questa estate, con La città incantata si sono toccati dei livelli artistici davvero alti.
Chi conosce la storia della giovane Chihiro persa in un regno fantastico popolato da divinità e spiriti che cerca di salvare i suoi genitori trasformati in maiali, si domanderà come sia stato possibile traslare per il teatro la visione immaginifica di Miyazaki, i suoi personaggi e le scene fantastiche che popolano il lungometraggio. Ebbene, Caird, attori, scenografi, musicisti e tutti coloro impegnati nel progetto, sono riusciti nell’impresa di portare il mondo di Miyazaki sul palcoscenico.

Prima di tutto vanno citati gli attori, si tratta, come spesso succede con le produzioni giapponesi, di uno spettacolo «double cast», cioè con un doppio cast; mentre i personaggi secondari, fantastici e non sono interpretati sempre dagli stessi attori e performer, esistono due cast principali. Ci sono cioè due attrici che hanno interpretato Chihiro, Kanna Hashimoto e Mone Kamishiraishi, e due attori per ognuno dei personaggi principali, da Haku a Yubaba, da Kaonashi a Lin che presentano lo stesso spettacolo in giorni diversi. Nella versione a cui abbiamo assistito, Hashimoto si è rivelata perfetta nel ruolo della protagonista, così come Mari Natsuki (Yubaba), che nel lungometraggio originale era anche colei che ha dato la voce alla strega, ma notevole è stata anche la presenza scenica di Hiroki Miura (Haku), regale ed elegante tanto nella voce quanto nelle movenze.
Ma forse i due elementi che più hanno sorpreso e che rendono questo adattamento un’esperienza originale ed unica, sono la complessa scenografia, tutta molto «fisica», solo in due scene è stato usato il video mapping, e la realizzazione degli spiriti/divinità, quest’ultimi creati da Toby Olié ed «animati» da persone, i burattinai, esposti e ben visibili in scena, come accade nel teatro delle marionette bunraku per intenderci. La testa di Yubaba che diventa enorme, Kaonashi che divorando le persone della casa diventa sempre più grande, ma anche Haku nella sua forma di drago si sono rivelati, forme create dalla collaborazione di più performer sempre ben in vista, dei piccoli capolavori di espressività.

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