Cultura

La città eterna prima dell’Impero, tentativi di decolonizzazione mentale

La città eterna prima dell’Impero, tentativi di decolonizzazione mentalePalaeoloxodon antiquus

Saggi Un libro che si addentra nella storia della Roma preistorica, lontano dalla mitologia fascista

Pubblicato circa 12 ore faEdizione del 31 ottobre 2024

Tra le recenti pubblicazioni merita senz’altro una lettura, per la chiarezza argomentativa e gli stimoli offerti, Roma preistorica di Alessandro Guidi (Carocci, pp. 132, euro 13).

Come sottolinea nell’introduzione l’autore, ex docente nelle università di Verona e Roma Tre, l’Urbe è stata sfruttata dalla propaganda fascista per il fascino simbolico dell’età imperiale, sul quale il cinema continua a innestare trame impastate di sesso, violenza, esagerazioni. Basti pensare alla miniserie Those about to die, disponibile su Prime Video, prodotta a Cinecittà e guarda caso girata da Roland Emmerich, specializzato in film catastrofici. E forse per soddisfare l’unico atteggiamento di cui il pubblico è ritenuto capace, il pur ottimo Il primo re di Matteo Rovere, in cui la preistoria deve ignorare le testimonianze archeologiche per restare così arcaica, è piuttosto un flashback della magnificenza che verrà.

PERCIÒ TOCCA SFORZARSI per intravedere «un universo di pianori, boschi, sorgenti, un fiume più grande di quello attuale e privo di argini che in inverno gelava, un ampio mondo di laghetti, paludi e acquitrini e quei colli».
Questo sforzo quasi di decolonizzazione mentale divenne esercizio sistematico quarant’anni fa, quando Patrizia Gioia e Anna Paola Anzidei riportarono in vita i giacimenti pleistocenici di Casal de’ Pazzi e Polledrara di Cecanibbio, due tra i siti cui sono riservate indicazioni utili per la visita nelle pagine finali.

ALTRETTANTO FONDAMENTALI furono la scoperta da parte di Ugo Ventriglia e Renato Funiciello della geologia dei Colli Albani e delle sue colate di fango; gli scavi al Foro di Boni e quelli intorno al Palatino di Puglisi, Pensabene, Carandini e Panella. E poi le ricerche di Cazzella sul Campidoglio e la capanna del centro arcaico di Fidene, scavata dal 1986.

Questi i dati forniti da Guidi, con i quali potremmo riempire «la geografia dello spazio buio che abbiamo nella testa», se volessimo seguire i consigli di Kant. Procederemmo allora ripercorrendo la creatività della natura, che con le eruzioni sommerse il mare del Pliocene, su cui due milioni di anni fa spiccava l’isola del monte Soratte, fino a far affacciare il Gianicolo e Monte Mario su un paesaggio inciso dal Paleotevere. Qui comparvero l’elefante e l’ippopotamo e l’uro. Venne quindi il grande freddo, con il mammut, il rinoceronte lanoso e i neandertal di Saccopastore, Sedia del Diavolo, Casal de’ Pazzi. Con la fine delle glaciazioni il mare riprese a riempire la valle di depositi alluvionali. Tutto si appiattì. Ma sorsero i sette colli.

LA SUGGESTIONE, leggendo il volume di Guidi, è che la preistoria rappresenti a Roma la nemesi della megalomania edilizia. Lo suggerisce quanto accadde in occasione della demolizione della Velia mentre si costruiva via dell’Impero, nel 1932: il piccone profanatore si imbatté nell’Elephas antiquus e d’improvviso la continuità visiva tra piazza Venezia e Colosseo, tanto cara al fascismo, si produsse in un cortocircuito. Maria Barosso lo ha eternato con matita e acquerello: in primo piano c’è un cranio con un’enorme zanna; l’anfiteatro dei Flavi è solo sullo sfondo. Le giuste proporzioni tra storia e preistoria erano ristabilite.

INTERESSANTI, infine, le domande raccolte dal volume, con la relativa sintesi delle risposte più credibili. Una su tutte, quella sulle origini: Roma nacque dalla fusione di diversi villaggi o dalla progressiva espansione di un centro unitario? Einar Gjerstad, che nel 1953 pubblicò il primo dei sei volumi di Early Rome, postulava l’esistenza nell’età del ferro di piccoli villaggi che si sarebbero riuniti solo al tempo del primo pavimento del Foro, all’inizio del VI secolo a. C. Hermann Müller-Karpe, invece, guardava già all’abitato sorto sul Palatino nel X secolo a. C. La verità, probabilmente, sta nel mezzo e si avvicina alla proposta avanzata da Carandini, che identifica una fase di prepotente sviluppo del Palatino, di cui individua una fortificazione in scheggioni di tufo, proprio negli anni in cui la tradizione fissa la fondazione attribuita a Romolo.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento