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La città di Marcello De Cecco

Divano L'esplorazione di Siena, come ‘questione architettonica’ e urbanistica, ‘con molte sonde’

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 11 marzo 2016

«Le crisi dell’architettura non nascono direttamente dall’architettura, se non per quanto deriva dalla instabilità culturale, morale e intellettuale degli architetti e dei loro committenti. Nascono invece (diciamolo pure, sapendo che di anacronismo verrà l’accusa), riflettono (diciamolo) gli orientamenti politici della società. Che oggi concorrono a scatenare l’egoismo individuale più sfrenato: per alzare la produzione, accelerare la circolazione monetaria, accrescere il profitto». Così Giancarlo De Carlo su Spazio e Società, la rivista internazionale di architettura che dirigeva, nell’editoriale del numero 47-48, luglio-dicembre 1989. «Perciò – aggiungeva – Spazio e Società continuerà a esplorare la questione architettonica con molte sonde, da molte direzioni diverse, cercando di identificare e svelare ogni sintomo che indichi il ritorno dalla fatuità all’impegno, dal dilettantismo alla competenza, dall’erudizione all’immaginazione, dalla citazione all’invenzione». Quel fascicolo della rivista accoglieva un ampio supplemento dedicato alla città di Siena che, come Roma, nell’ultimo ventennio, si è plasmata in un sistema di corruzione. De Carlo aveva affidato il dossier alla cura di due architetti, Augusto Mazzini e Carlo Nepi, e a me che scrivo.

Esplorammo Siena, come ‘questione architettonica’ e urbanistica, ‘con molte sonde’. Intervennero, tra gli altri, due poeti – Mario Luzi e Cesare Viviani. E di «Forma urbana e forme del potere» scrisse Marcello De Cecco che insegnava allora economia nello Studio senese. In questo contributo si possono apprezzare il metodo di indagine di De Cecco e i risultati che assicura. Della specifica forma urbana di Siena egli mostra le dinamiche ‘socio-produttive’ e ‘socio-economiche’ quali la determinano nella sua viva attualità. La forma urbana è il risultato di relazioni economico sociali, di direttrici che si sono mantenute attive. «Perché a Siena questa configurazione sia rimasta più a lungo in vita, mentre nelle altre città italiane essa è scomparsa, è presto detto. Alla rendita fondiaria si è sostituita a Siena, come a Londra, la rendita finanziaria. La presenza a Siena di un grande istituto bancario ha permesso il mantenimento, in buona misura, della struttura socio-economica precedente, che invece è entrata in crisi nelle altre città italiane con la crisi della rendita agraria».

Sicché l’astratto modello di città medievale, antico reperto miracolosamente intatto, che Siena ha incarnato e incarna nella diffusa percezione di chi l’ha visitata e ne ha scritto – da Montaigne («palazzi antichissimi») a Taine («Pompei medievale») a Henry James («con l’aiuto del chiaro di luna vi trascorsi una mezz’ora rapito da una visione immaginaria dell’Italia medievale») – non viene rovesciato nell’ordine estetico, ma ritrova nella pagina di De Cecco la sua concreta, storica ragion d’essere. Si staglia isolata al centro del suo territorio Siena: «il passato vive e parla permettendo un viaggio nel tempo anche all’urbanista. Fuori delle mura era la negazione della città e le mura e le porte servivano ad affermare un concetto chiarissimo di potere. Chi è dentro comanda, chi è fuori ubbidisce». Città come forma del potere. Rimpiango la finezza di Marcello e il suo acume: riconoscendo nelle «ville signorili del contado senese il tentativo di trasportare con sé la città quando diviene assolutamente necessario risiedere in campagna, per riaffermare periodicamente la propria sovranità sulla terra», considera: «si faccia caso alle strade che collegano queste ville a Siena. Esse non sono fatte per andare da nessun’altra parte».

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