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La Cina saluta Trump sanzionando Pompeo

La Cina saluta Trump sanzionando PompeoMaxi schermo in Cina con l'insediamento di Biden – Ap

Le reazioni di Pechino Nei suoi ultimi giorni alla Casa bianca il tycoon aveva colpito duramente altre nove aziende cinesi

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 22 gennaio 2021

Gli Usa hanno salutato l’amministrazione di Donald Trump e, forse, in Cina tirano un sospiro di sollievo. Il mandato del presidente repubblicano ha segnato profondamente il rapporto tra Pechino e Washington, ma ora la Cina guarda con ottimismo la nuova presidenza di Joe Biden, sperando in un dialogo dai toni concilianti e meno roboanti.

IL PARTITO COMUNISTA cinese, negli ultimi quattro anni, ha dovuto gestire le «intromissioni negli affari interni», ovvero tutti le misure adottate dalla comunità internazionale per le sistematiche violazioni dei diritti umani in Cina. Un atteggiamento indigesto al Partito comunista, che riconosce in Mike Pompeo, l’ex segretario di Stato Usa, il principale artefice delle misure pensate per arginare economicamente e politicamente la Cina.

Durante la cerimonia di insediamento di Biden alla Casa Bianca, Pechino ha voluto dare il suo ultimo saluto con una raffica di sanzioni a diversi membri dell’amministrazione Trump, ritenuti responsabili di aver violato la sovranità nazionale cinese attraverso l’introduzione di misure restrittive. Sono 28 gli ex funzionari a essere finiti nel mirino del governo cinese, come Pompeo, Peter Navarro, Robert O’Brien, David Stilwell, Matthew Pottinger, Alex Azar II, Keith Krach e Kelly DK Craft, , ma anche John Bolton e Stephen Bannon. Non potranno entrare in Cina, a Hong Kong e a Macao, ma anche fare affari con il gigante asiatico. Le restrizioni sono estendibili anche ai loro familiari.

UNA DECISIONE DEFINITA cinica e improduttiva dalla neo portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa, Emily Horne, ma ritenuta necessaria e legittima dal Partito comunista per rispondere ai provvedimenti della presidenza Trump. Ne sono stati digeriti pochi, ma gli ultimi, a poche ore dalla fine della sua amministrazione, hanno adirato ulteriormente Pechino. Dopo le restrizioni imposte al colosso tecnologico Huawei, considerato da Trump uno strumento nelle mani di Pechino per minacciare la sicurezza nazionale Usa, sono finiti sotto i riflettori del dipartimento del Commercio Usa l’azienda Xiaomi, ormai offlimits per gli investitori americani a causa dei presunti legami con l’esercito cinese, e il colosso petrolifero Cnooc, che verrà sottoposto alle stesse misure restrittive sull’export americano già previste per Huawei e Hikvision.

Anche la questione della violazione dei diritti umani nella regione cinese dello Xinjiang è stata una battaglia politica per l’ex segretario di Stato Pompeo. A meno di 24 ore dall’insediamento di Biden alla Casa Bianca, il 70esimo segretario di Stato ha annunciato che il governo Usa considera un genocidio quanto compiuto da Pechino nello Xinjiang contro le minoranze musulmane.

L’ETICHETTA non comporta l’imposizione di nuove sanzioni, ma potrebbe determinare un diverso approccio della comunità internazionale con le aziende dello Xinjiang, uno di principali fornitori al mondo di cotone e salsa di pomodoro.

Già alcuni paesi, come Usa, Gran Bretagna e Canada hanno introdotto restrizioni sull’import e l’export da e verso la regione nordoccidentale cinese, in particolare per il cotone e il pomodoro. Ma i diversi provvedimenti, come lo Uygur Human Rights Policy Act adottato da Trump, servono a poco. Secondo gli ultimi dati delle dogane cinesi, le esportazioni dallo Xinjiang verso gli Usa sono aumentate del 116 per cento nel 2020 rispetto all’anno precedente, guidate dalle vendite di componenti delle turbine eoliche.

L’AUMENTO delle esportazioni dalla regione riguarda anche prodotti che non sono stati sanzionati dalle autorità statunitensi, ma potrebbero alimentare le tensioni in futuro. Perché Biden, sostenitore dei diritti umani, manterrà un duro approccio con la Cina, come già confermato dal nuovo capo della diplomazia Usa, Anthony Blinken. Lo Xinjiang è un argomento che potrebbe creare tensioni anche con i giganti del social network vietati in Cina. Ieri Twitter, che l’estate scorsa ha introdotto l’etichetta per gli account dei media gestiti o affiliati anche al governo cinese, ha bloccato l’account dell’ambasciata cinese degli Usa per un post che difendeva le politiche di Pechino nello Xinjiang. E la Cina si dice preoccupata per questo blocco.

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