Visioni

La Cina nel racconto di una giovinezza

La Cina nel racconto di una giovinezza

Al cinema Il nuovo film di Jia Zhang-ke, «I figli del fiume giallo», è un viaggio nel tempo tra i luoghi delle sue opere precedenti e il presente

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 9 maggio 2019

Ci sono storie interrotte che tornano nei film di Jia Zhang-ke, qualcosa sospeso nello scorrere del tempo, travolto dalla realtà del mondo il cui battito non si accorda quasi mai con chi lo percorre. Questione di ritmo, o di desiderio, a volte sbagliare il passo, troppo avanti o troppo indietro, può essere una scelta di vita. Un uomo e una donna, la Cina tra l’inizio del nuovo millennio e oggi. Lei si chiama Qiao, lui Bin, sono giovani e innamorati, vivono per godersi il momento secondo la filosofia dell’uomo, piccolo capobanda in un clan di provincia.

NON SONO grandi affari, appena un po’ di soldi in più degli altri, gli operai che rimangono disoccupati perché il governo chiude le miniere di carbone, come il padre di Qiao che crede ancora nella lotta di classe contro le «tigri di carta», e chiede ai suoi uomini di combattere i capitalisti ma è ormai solo. Il governo li sta delocalizzando, ci sono altri piani, per esempio il petrolio, nuovi investimenti, la trasformazione economica della Cina moderna è già cominciata, si tratta di starci o di rimanere ai margini fino a essere sbattuti fuori.

Anche la mafia sta cambiando, i più giovani, «paranza di bambini» impazziti, danno la caccia ai vecchi capi e chi comanda (davvero) non segue più i vecchi codici della jianghu, quei gruppi di «persone diverse» tenute insieme da lealtà e rettitudine; preferisce l’alta finanza, le speculazioni globali, i boss sono laureati in economia, guardano fuori confine, occupano i centri del potere.

Poi accade qualcosa, una cesura per amore: Qiao viene arrestata, cinque anni di carcere, in quel mondo sono millenni, lei e Bin si perdono, Qiao continua a amarlo, o è soltanto la melodia di una vecchia canzone? I figli del fiume giallo, il nuovo film di Jia Zhang-ke che esce in Italia un anno dopo la presentazione allo scorso Festival di Cannes – e il doppiaggio, vale ripeterlo, suona davvero arcaico in un film così – è un melò,un noir, la storia di un amore, un omaggio ai film di cappa e spada di Hong Hong e a John Woo, citato in alcune sequenze, in cui entra con prepotenza la contemporaneità che per il regista, nato nello Shanxi prende forma nel suo Paese.

Film dopo film dagli esordi di Pickpocket, ne ha illuminato mutamenti drastici, violenza, contraddizioni nell’intimità esistenziale dei suoi personaggi, nei luoghi, nei cambiamenti del paesaggio che il romanzo di Ash is Purest White – questo il titolo internazionale del film – sembra quasi ripercorrere come un «archivio» dei suoi film precedenti, utilizzando anche materiali girati nel passato, inquadrature di altri film, ma in modo vivido, senza nostalgia o ripiegamento, quasi per interrogarli, per trovarvi nuove forme di confronto col presente.

È un viaggio il suo nel tempo e nello spazio, come quello di Qiao – splendida Zhao Tao, l’attrice icona del regista – attraverso la Cina, da un punto all’altro, da una vita all’altra. E lo dichiara sin dalle prime inquadrature, che sono parte di materiali girati con una telecamera digitale nel 2001 – per un progetto andato avanti fino al 2006: una bimba con un golfino giallo su un bus pieno di uomini. Forse è Qiao piccolina, poi unica ragazza nel mondo maschile delle bande, leggiadra coi suoi vestiti colorati eferma, ostinata nella lotta al suo destino.

LE TRE ETÀ dei due protagonisti – Bin è l’attore Liao Fan – attraversano lo Yangtze, il set delle dighe a venire di Still Life, con le sue città di gradini che attendono di essere inghiottite dall’acqua, forse ritrovano il sentimento ribelle di Unknown Pleasure e i gesti irruenti di Platform. Texture, grana, abiti, musiche, colori – la fotografia è di Eric Gautier – restituiscono il sentimento dei cambiamenti. Forse è anche autoritratto I figli del fiume giallo, il racconto della giovinezza e della sfida di un fare cinema che, con la stessa ostinazione di Qiao, continua a cercare nuove e possibili scommesse.

Soffermarsi ancora su quei luoghi a distanza è un modo per riguardarli, per cogliere dettagli, sfumature impreviste che sono sfuggite e che offrono invece chiavi importanti rispetto al presente. E al futuro. Dice Jia Zhang-ke: «La città del mio primo film, Pickpocket è stata demolita. Il decor naturale di Still Life e le cittadine intorno presto saranno completamente scomparsi. Le fabbriche di 24 City non esistono più. Questi drastici mutamenti rendono ancora più necessario il compito del cinema che è quello di opporsi all’oblio…». Le immagini e le storie. L’ultima scena di I figli del fiume giallo mostra la vita della protagonista e ciò che la circonda attraverso una telecamera di sorveglianza. C’è la malinconia di qualcosa che si è perduto e insieme la dichiarazione di un movimento che continua: la volontà di una resistenza come quella di Qiao , fedele ai suoi principi nonostante tutto, il piacere di una forma poetica che destabilizza. Con dolcezza.

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