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La chimica del conflitto (con bulli)

In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 17 aprile 2018

Sul Corriere della sera di domenica 15 aprile Donatella Di Cesare riflette sul caso della guerra chimica in Siria, che ha scatenato la reazione dei missili americani, francesi e inglesi, ricordando che l’«atmoterrorismo» – terrorismo nell’aria e nell’atmosefera – è nato nel cuore della guerra praticata e reinventata nell’Occidente europeo.

C’è una data precisa: il 22 aprile 1915, quando nella località di Ypres, in Belgio, i tedeschi usarono per la prima volta gas al cloro contro i francesi e i loro alleati, grazie al favore del vento che portò rapidamente circa 150 tonnellate di polvere letale nelle trincee nemiche.

Naturalmente i battaglioni armati di gas erano già pronti anche nelle file della «Triplice intesa».

Per il filosofo Peter Sloterdijk – che sul tema ha scritto un breve, denso testo pubblicato poco dopo l’11 settembre 2001 (Terrore nell’aria, Meltemi, 2006) – da quella precisa data sarebbe corretto fare iniziare il «Secolo breve», o «Età degli estremi», i cui apporti più significativi sarebbero proprio il terrore praticato su larga scala, il «design industriale» – una nuova forma di «razionalità» produttiva e sociale – e il concetto di «ambiente».

La guerra chimica è alla radice di un salto simbolico: per secoli «la mascolinità – scrive il filosofo – veniva codificata grazie alla capacità e alla disponibilità di dare la morte a un nemico con le proprie mani o con la propria arma». La nuova tecnica aggredisce invece indiscriminatamente. Non si prende nemmeno più «la mira», necessaria nell’uso di fucili e cannoni: si cerca di circoscrivere un ambiente e lo si contamina. Chi lo abita si autoeliminerà per il sol fatto di continuare a respirare.

Sloterdijk passa in rassegna la catena di orrore e terrore che da quel primo utilizzo bellico del gas conduce all’impiego civile di simili prodotti chimici per lo «sterminio di parassiti e di topi», e poi – con costanza di formule scientifiche e codici linguistici – allo sterminio degli Ebrei e altri «diversi». Senza dimenticare che il gas, con intenzioni «umanitarie», fu adottato negli anni ’20 dal Nevada e da altri stati americani per eseguire le pene di morte.

Ma la storia dell’«atmoterrorismo» non si arresta con il bando alla guerra chimica. Infatti, dopo i massici bombardamenti dall’aria che hanno scientificamente distrutto col fuoco città come Dresda e i suoi abitanti nella seconda guerra mondiale, si giunge alle bombe atomiche sul Giappone, e la contaminazione dell’«ambiente» nemico con una forma più sottile e duratura di alterazione, le radiazioni nucleari.

Viene da pensare che la reazione «etica» contro il supposto – e probabile – gesto di Assad da parte di stati che hanno ricchi arsenali atomici (Trump e i suoi generali hanno anche teorizzato il rilancio «tattico» di ordigni nucleari, per non parlare della «madre di tutte le bombe» lanciata poco tempo fa in Afghanistan) abbia a che fare con un qualche più o meno rimosso ma ben giustificato senso di colpa.

Oltre che con la gestione maldestra degli equilibri di potere in quella disgraziata area del mondo.

Ho letto da qualche parte che Melania Trump si occupa di iniziative contro il bullismo e che ne ha parlato all’Onu. Chissà se ogni tanto le vengono in mente i comportamenti del marito (definito come boss mafioso dall’ex capo dell’Fbi).

Accuse di «bullismo» sono girate via tweet e altro tra Trump, Putin, Erdogan e il signore ben pettinato a capo della Corea del Nord. Sarebbero forse – e non i soli – bulli «imbelli»? Cioè «inetti alla guerra», come la facevano una volta i «veri uomini».

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