Internazionale

La Chiesa: «L’esercito protagonista»

Cuba Dalla rivista «Espacio laical» un ambiguo invito alle Far a guidare le riforme politiche

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 6 luglio 2013

I portavoce laici – dunque più liberi di esprimersi politicamente – della Chiesa cattolica di Cuba hanno esortato il vertice delle Forze armate rivoluzionarie (Far) – ritenute l’unica istituzione cubana, a parte la Chiesa, che continuerà «incolume» per «altri duecento anni»- ad assumere un maggior protagonismo nell’attuale processo di riforme, iniziato per volere del presidente Raúl Castro.

La tesi è contenuta in due saggi pubblicati dalla rivista Espacio laical a firma del direttore Roberto Veiga González e del vicedirettore Lenier González Mederos. Quest’ultimo, nel suo articolo -“Le Forze armate e il futuro di Cuba” – sostiene senza mezzi termini che «le Far, come la Chiesa cattolica, hanno la responsabilità patriottica e morale di avere un ruolo attivo e facilitare il migliore dei futuri possibili per Cuba». Da parte sua, Veiga afferma che le Forze armate «rappresentano l’istituzione più forte, coesa e professionale dell’attuale sistema» cubano e per questa ragione ritiene «indispensabile» che debbano assumere «un ruolo di protagonista» nell’attuale processo di cambiamenti. Aggiunge che i militari hanno «la responsabilità di appoggiare» le richieste della popolazione cubana «offrendo quella sicurezza che è compito assicurare da parte di chi dispone della forza delle armi».

Ma qual è, in concreto, l’invito lanciato al vertice militare cubano? Lo dice chiaramente Lenier (anzi lo definisce «un imperativo storico»): «Smontare il modello di socialismo di Stato di matrice sovietica» e avanzare «nella costruzione di un ordine repubblicano più democratico e inclusivo, che dia spazio alla pluralità politica nazionale». Solo in questo modo sarà possibile «riarticolare il consenso politico nazionale (includendo alcune forze politiche dell’emigrazione di Miami)» e «ricostruire le relazioni con il governo degli Stati Uniti». Da parte sua Veiga si spinge ancora più avanti e indica come priorità la «rimozione delle strutture antidemocratiche dell’attuale sistema politico» in modo che sia possibile « far transitare il Paese verso un regime bipartitico», nel quale «un’opposizione leale potrà negoziare i cambiamenti che preservino le conquiste sociali della Rivoluzione». Infine, i militari dovrebbero facilitare l’inserimento di Cuba nell’economia mondiale capitalista e nel sistema istituzionale interamericano.

I due articoli tratteggiano i contorni di un vero e proprio patto politico tra cattolici e Far, viste appunto come l’istituzione governativa «più forte, coesa e professionale». Questo nuovo sforzo dell’episcopato cattolico, guidato dal vescovo dell’Avana, cardinal Jaime Ortega Alamino, di avvicinarsi al vertice delle Forze armate suscita l’inquietudine in diversi settori della società cubana, sia nell’isola che all’esterno. La Chiesa infatti sta giocando un ruolo ambiguo. Da un lato, dialoga con personalità che criticano, da sinistra, le riforme del governo e appoggia le proposte socialdemocratiche del “Laboratorio Casa Cuba”. Dall’altro lato, il vertice cattolico si rivolge direttamente alle Forze armate come interlocutore politico, al quale propone un “cambio desde arriba”, ovvero riforme dirette dall’alto (alla cinese per intendersi). Altri analisti, più che ambiguità vedono una contraddizione, dato che le Far rappresentano, oggi come oggi, un “superpartito politico” (la maggioranza dei membri del Comitato centrale del Pc sono militari o vicini a Raúl Castro, specie dopo il recente rimpasto dell’Ufficio politico del partito comunista con l’uscita di scena di personalità legate al fratello Fidel) e “un superpotere economico” ( i gangli dell’economia cubana sono sotto controllo diretto di militari o di dirigenti provenienti dalle Far). Di modo che le Forze armate sono viste come il maggior sostegno del governo e un possibile ostacolo a profonde riforme e economiche e politiche.

La storia dell’America latina è profondamente segnata dal protagonismo politico delle Forze armate e di leader provenienti dai ranghi militari, progressisti, come il defunto presidente del Venezuela, Hugo Chavez o l’attuale capo di Stato del Perù, Ollanta Humala, o della della destra golpista degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. Quest’ultima, nel quadro internazionale della guerra fredda tra Occidente e Urss, hanno goduto dell’appoggio, oltre che degli Stati Uniti, di settori conservatori del clero cattolico. Uno degli obiettivi degli interventi militari di quell’epoca era proprio di impedire che la rivoluzione cubana si estendesse nel subcontinente latinoamericano. Oggi l’America del Sud vive una stagione di cambiamenti dove prevale la linea progressista o socialdemocratica, e anche la Chiesa, sotto la spinta del nuovo papa, sembra guardare in questa direzione.

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