La carica dei nipotini acidi, dai Tame Impala ai Pontiak
ANNI DUEMILA, L'ULTIMA PSICHEDELIA La musica psichedelica, nelle sue varie forme, non ha mai smesso di affascinare e di fare proseliti. E così se tra la fine degli anni Settanta e i primi anni […]
ANNI DUEMILA, L'ULTIMA PSICHEDELIA La musica psichedelica, nelle sue varie forme, non ha mai smesso di affascinare e di fare proseliti. E così se tra la fine degli anni Settanta e i primi anni […]
La musica psichedelica, nelle sue varie forme, non ha mai smesso di affascinare e di fare proseliti. E così se tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta sono nate band che andavano a pescare da quei suoni tanto da far parlare addetti ai lavori e appassionati di scena neopsichedelica – scena che ha dato poi vita a sottogeneri quali lo shoegaze, il dreampop o il Paisley Underground – anche la decade successiva ha visto il proliferare di gruppi assimilabili al sound portato in auge da gente come 13th Floor Elevators, Pink Floyd ecc. Ma è negli ultimi dieci/quindici anni, che il genere ha ripreso grande vigore grazie a formazioni giovanissime, figli e nipoti attratti dai dischi che genitori, zii o addirittura nonni, hanno custodito gelosamente. Nel calderone psichedelico vengono inseriti band e artisti anche molto lontani tra loro, con distinzioni nello stile che ci permettono di dividere almeno quattro sottocategorie con l’estensione «psichedelico»: il «classico» rock (anche hard), il pop, la variazione più vicina all’elettronica dello space rock e quella più «mitteleuropea» del kraut. Qui vogliamo soffermarci su alcune delle formazioni nate negli ultimi anni che hanno saputo dare una spinta al genere, fino a riportarlo all’attenzione del grande pubblico.
Partiamo dagli australiani Tame Impala, che fin dal primo album, Innerspeaker, hanno saputo spingere su un suono di beatlesiana memoria, per raggiungere il massimo dell’espressione psischedelica con il successivo Lonerism, per poi abbandonare in parte il sound puramente psych con il terzo, e al momento, ultimo lavoro, Currents. Sempre dall’Australia arriva una delle band più folli, originali e bulimiche – discograficamente parlando – in circolazione, King Gizzard & The Lizard Wizard. Quattordici album all’attivo in soli sette anni, tra i quali citiamo I’m in Your Mind Fuzz e Nonagon Infinity.
Ai Pink Floyd barrettiani si rifanno, in particolare con l’album d’esordio, Sun Structures, gli inglesi Temples, mentre i Floyd post Barrett sono il punto di riferimento di una band statunitense, i Pontiak, che in particolare con l’ultimo lavoro, Dialectic of Ignorance, puntano forte su un sound hard psych. Uno stile al quale appartengono di diritto anche i canadesi Black Mountain, che dagli inizi vicini ai Black Sabbath, raggiungono l’apice della loro creatività con il nuovissimo Destroyer.
E l’America del Nord fa la parte del leone, con una schiera di gruppi di assoluto livello a partire dagli Arbouretum di Dave Heumann, che alle pulsioni psichedeliche abbinano micidiali tirate folk-blues. Migliori esempi delle loro qualità sono senz’altro gli ultimi due lavori, The Gathering e Coming Out of the Fog. Più vicini ai 13th Floor Elevators e ai Velvet Underground, da un cui brano hanno preso il nome, sono The Black Angels, che uniscono al tutto anche una discreta dose di r’n’b. Cinque dischi in carriera dal 2006 a oggi, tra i quali scegliamo Phosphene Dream e Indigo Meadow.
Da San Francisco arrivano gli Wooden Shijps, che puntano su un suono space, e dei quali si raccomanda l’esordio omonimo. Per la stessa etichetta dei Black Mountain, la Jagjaguwar, incidono gli Unknown Mortal Orchestra, con base a Portland, Oregon, guidati dal chitarrista e cantante neozelandese Ruban Nielson. Cinque album, dei quali i primi tre racchiudono al meglio il loro credo psichedelico.
Essere figlio d’arte non sempre è un bene, specie se porti un cognome come Lennon. Il paragone è ingombrante, certo, ma Sean, il figlio più piccolo del grande John, sa il fatto suo, e prima con il progetto The Ghost of a Saber Tooth Tiger – un paio di dischi all’attivo tra cui l’ottimo Midnight Sun del 2014 -, e ora con il Claypool Lennon Delirium, assieme all’istrionico bassista dei Primus Les Claypool, ha dato prova di essere ben più che un semplice «figlio di», lasciando l’impressione di essere la reincarnazione di cotanto padre.
Chiudiamo la lista internazionale con un duo ascrivibile più alla scena indie rock ma che nel corso della carriera ha battuto con efficacia anche la strada della psichedelia, in particolare con un paio di lavori, tra cui We Are the 21st Century Ambassadors of Peace & Magic del 2013 ci sembra il più riuscito, parliamo dei Foxygen.
La lista è ancora molto lunga, e va a toccare decine di band minori, formazioni che si possono ritrovare spesso nei migliori festival dedicati alla scena psych, come lo Pzyk di Liverpool o il Levitation di Austin, in Texas, ma anche, nel nostro piccolo, il Rome Psych Fest. E proprio con l’Italia vogliamo concludere i nostri consigli con tre band in particolare, i Jennifer Gentle, in campo dalla fine degli anni Novanta; i Verdena, che pur avendo toccato varie fasi sonore hanno dalla loro uno dei migliori album «psichedelici» all’italiana degli ultimi decenni, il doppio Wow; e infine The Winstons, una sorta di supergruppo che mette insieme tre tra i migliori rocker della Penisola: il bassista e cantante Roberto Dell’Era (Afterhours), il polistrumentista e produttore Enrico Gabrielli (Mariposa, Calibro 35) e il batterista e cantante Lino Gitto. Per loro due album, il debutto, omonimo, e il recente Smith.
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