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La Capria, modestia e grandezza di un «minore interessante»

La Capria, modestia e grandezza di  un «minore  interessante»

Il ricordo Dudù per gli amici più cari, tra viaggi, libri, passeggiate e uno sguardo perso oltre l’orizzonte

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 2 luglio 2022

Il ricordo più luminoso che mi rimane di Fefé -già, perché nonostante mi invitasse a chiamarlo Dudù io recalcitravo, nel mio immaginario Dudù apparteneva alla confidenza dei suoi amici storici, Francesco Rosi, Peppino Patroni Griffi, Antonio Ghirelli- è legato ad un pomeriggio d’estate di qualche anno fa allorché si presentò vestito come un marinaio, i pantaloni larghi di lino bianco, una maglietta di cotone a maniche lunghe a righe orizzontali biancocelesti. Con i capelli scarmigliati ricordava Ugo D’Alessio, l’attore partenopeo che interpretava l’italo-americano babbeo vittima di Totò in Totò truffa 62. O, più semplicemente, poteva sembrare uno degli omini di Chagall.

Ci vedevamo spesso in passato. Era un uomo elegante, mocassini alla Hemingway e, immancabile, il cache coll : «Alcuni pensano che io sia uno snob ma ti vesti come ti insegnano a fare». Mi parlava sovente di ugge familiari e mostrava una pazienza di Giobbe quando lo tormentavo con Ferito a morte. Chiedevo ogni volta un risvolto possibile, il peso di un periodo, il significante di un termine. Avevo trovato in una libreria dismessa di Pitigliano una prima edizione ad 1 euro (sì, proprio quella con il Fischzauber di Klee).
Un giorno gli dissi che avevo intessuto rapporti professionali con Eileen Romano e allora mi raccontò di un innamoramento feroce fino allo spasimo e mi disse di riferirglielo pure, lei non lo aveva mai saputo ma lui volle che lo sapesse; Eileen ne rimase lusingata ma fu come se la notizia le provenisse da una stella morta.
L’ultima intervista gliela feci a marzo e fu una fatica improba assemblare le parole e distoglierlo dalla noia che lo attanagliava. Non era la noia che prelude all’ozio ma lo scoramento per il deserto che la morte degli amici e dell’amata Ilaria gli avevano fatto intorno. Ogniqualvolta mi affacciavo sul salotto, immancabilmente faceva la stessa domanda: «Che bbuoi?», come se fossi un postulante in cerca di prebende.

Parlavamo spesso dell’amato Guappo, il trovatello che aveva allietato molti dei suoi anni, e dell’angoscia che lo attanagliava durante l’ultimo viaggio dal veterinario perché lo sopprimesse, e ricordava con un velo di tristezza lo sguardo rassegnato del suo amico quasi consapevole del destino che lo attendeva. Quando adottai anch’io un trovatello, gettato in una busta di plastica dentro il perimetro della mia abitazione, gli misi nome Guappo e questo sembrò renderlo felice. Non mancava mai di chiedermi: «Come sta il nostro Guappo?», usando una sorta di plurale maiestatis ma in fondo è come se si riferisse, ancora una volta, al suo cane. Un giorno, dopo averne parlato per giorni, si decise che saremmo andati a trovare il suo Guappo sepolto, se non ricordo male, in un terreno nell’aretino. Giunsi all’appuntamento con anticipo, dopo aver ottenuto un permesso speciale per entrare nella ZTL. Anche lui era, in un certo senso, puntuale: non vedendomi arrivare passeggiava poco distante. Quando mi vide mi chiese interrogativo che cosa ci facessi in macchina. Non volevamo andare ad Arezzo passeggiando…«Ma quando mai, quella era un’idea buttata lì, niente di programmato. Vieni -disse prendendomi il braccio- conosci qualche trattoria bbuona?» Sconcertato ma forte del permesso ottenuto, ricoverammo in una trattoria storica in via della Vite: «O, intendiamoci, ospite mio naturalmente…»

Una volta, completamente sovrappensiero, sbagliai indirizzo ed entrai in Palazzo Grazioli e mancò poco che i pretoriani di Berlusconi non mi scaraventassero in terra. Questa cosa, ovviamente, lo divertì molto. Anche nel giudizio politico era misurato ma la misura non voleva dire, in questo caso, assenza di asprezza.
Negli ultimi tempi, seduti sul divano, alternava uno sguardo diretto ad un altro perso verso l’orizzonte attraverso la vetrata che dava sui tetti di Roma.

Si definiva un «minore interessante» ma anche lui sapeva di non esserlo. Vedere raccolte le proprie opere in un Meridiano rafforzava indubitatamente la consapevolezza di non esserlo.
L’impiantito di Ferito a morte (ma, anche, di Un giorno d’impazienza) era tutto incentrato nell’arco di una giornata vissuta da un anelito di fuga. Questo lo riportava, in qualche maniera, a Joyce («Uè, tu voli alto…»). Era divertito quando parlava del set di Leoni al sole, liberamente tratto dal romanzo. Il film non era stato un granché (nonostante nel 2008 venisse inserito in una lista di 100 film da salvare)ma «Come ci divertivamo!» sottolineava, tornando col pensiero alle zingarate fatte con Vittorio Caprioli. Da un certo punto di vista il film ricalcava un po’ I vitelloni dove alla fine il più posato della compagnia, Moraldo, abbandonava definitivamente la provincia per approdare a Roma. Suggestioni, mélange di frequentazioni alte e indiscutibilmente formative.

Spesso abbronzato, Fefé lo era davvero marinaio, una sorta di marinaio di terra e da almeno un anno aveva cominciato la sua traversata nel deserto dei lutti, della parola morta, dell’afasia quasi indotta come in una sorta di pietosa eutanasia , delle assenze insopportabili (ultimamente indicava spesso , come non aveva mai fatto, il ritratto di Ilaria ripresa da Luxardo che campeggiava in salotto).

Fefé ha vissuto una lunga vita e questo, nel momento della partenza, rincuora. Una vita di gioie e di successi, frammezzato da qualche dissapore. Sembrava fargli velo, da ultimo, un’operazione a cuore aperto in età avanzata che lo preoccupava non poco ma dalla quale poi si affrancò.

Potrei rifare il verso a Prevert e dire che La Capria non è stato capace di contare fino a 100, rimproverarlo per non aver rispettato i patti e brindare nella festa che un giorno pensò per il centenario («Figurati se mi inviti», «No,no, tu ci sarai») ma egli, serenamente ateo, starà ora solcando le acque dell’Acheronte vissuto da curiosità inespresse ed oggi -a me non riuscirà più a confidarlo- finalmente esaudite

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