La canzone si mette in ghingheri
Intervista Irit Dekel e Eldad Zitrin in concerto il 3 a Roma e il 4 febbraio a Milano parlano del loro nuovo progetto «Last of songs»
Intervista Irit Dekel e Eldad Zitrin in concerto il 3 a Roma e il 4 febbraio a Milano parlano del loro nuovo progetto «Last of songs»
Irit Dekel è attrice e cantante israeliana dotata di una vocalità non comune, dalla grana speziata ricca di chiaroscuri – a qualcuno potrebbe ricordare Beth Gibbons dei Portishead – a suo agio nel pop quanto nel jazz. Eldad Zitrin è un tastierista e musicista che si muove in un territorio prettamente jazz ma allo stesso tempo è attratto da suoni diversi. Insieme hanno dato vita a un progetto singolare quanto riuscito Last of songs, nel quale rileggono standard jazz come Good mornin heartache – codificata nella sua massima espressione da Billie Holiday – cavalcano con leggerezza un blues come You’re my thrill, sottolineando le splendide armonie di Bye bye love degli Everly Brothers. «Ci siamo incontrati – spiega Irit che sarà in Italia con Eldad per due concerti stasera alla Casa del jazz di Roma e domani 4 febbraio al Blue Note a Milano – nell’agosto di quattro anni fa. Ci ha presentati un amico comune. Mi era venuta l’idea di riprendere standard del jazz e rivestirli con un abito nuovo. Già dal primo incontro ho capito che viaggiavamo sulla stessa sintonia».
Last of songs sembra vada alla ricerca di una sorta di esperanto musicale… «All’inizio l’idea era di trovare un sound omogeneo per ogni pezzo – raccontano -, man mano che registravano abbiamo capito che avremmo invece dovuto creare un nuovo suono partendo da strumenti anche non canonici, appartenenti a diversi luoghi e culture. Se questa significa un esperanto musicale solo il tempo potrà dirlo…». Dodici brani e dieci video realizzati, quasi un’opera cinematografica…«Ogni clip ha un’atmosfera diversa e un luogo diverso in cui è stato girato. Abbiamo preso riferimenti anche dal cinema di Fellini e De Sica, con dei rimandi all’atmosfera del cinema israeliano dei ’70».
La varietà di arrangiamenti e l’apertura alla diversità, luoghi e culture, contrasta con quanto accade nella vita reale. Nel medio oriente e nello specifico del conflitto israelo palestinese: «È un argomento molto difficile da affrontare, preferiamo tenere per noi le nostre opinioni politiche. Certo crediamo che attraverso ponti musicali sia più facile comunicare ed è quanto suggeriamo ai politici: fate il vostro meglio per risolvere questi grandi problemi così come noi lo facciamo attraverso il linguaggio comune della musica».
Irit è un attrice e certamente questo può facilitare il lavoro di interprete – specialmente su un repertorio che spazia su territori diversi – ma può anche rivelarsi un limite…: «Nel mio caso non ci sono stati problemi, anzi. Sono due mondi in qualche modo complementari»…
Eldad – che ha collaborato con nomi noti della musica israeliana come Rita Yahan-Farouz – ha grande esperienza in campo jazz ma ama misurarsi su territori diversi. Da dieci anni a questa parte certi confini non esistono più, ci si muove agevolmente fra più ambienti sonori. Cos’è cambiato oggi rispetto al passato?: «Credo – spiega Eldad – che ci sia una maggiore apertura mentale, e questo in generale in campo artistico non solo musicale. Molta della musica creata al giorno d’oggi fonde due o più stili combinandone altri, un po’ come fanno i pittori mescolando più colori sulla tavolozza. È con questo spirito che è nato Last of Songs». Il duo sarà accompagnato nelle due date italiane da Adi Har Zvi alle percussioni e batteria, Ida Armoni al basso e contrabbasso e Elad Cohen Bonen alla chitarra.
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