La caccia e la sudditanza della politica
Per quale motivo i cacciatori sono così ascoltati da destra e sinistra? Cosa fa di una categoria in costante diminuzione, invisa alla maggior parte degli italiani, impegnata nell’attività «ludica» più […]
Per quale motivo i cacciatori sono così ascoltati da destra e sinistra? Cosa fa di una categoria in costante diminuzione, invisa alla maggior parte degli italiani, impegnata nell’attività «ludica» più […]
Per quale motivo i cacciatori sono così ascoltati da destra e sinistra? Cosa fa di una categoria in costante diminuzione, invisa alla maggior parte degli italiani, impegnata nell’attività «ludica» più pericolosa, una delle lobby più potenti?
Proviamo a ricapitolare. Il loro numero è in netto calo: nel 1980 erano più di 1.700.000, nel 2015 a malapena superavano i 770.000, ma dati più recenti parlano di circa 600.000 licenze annue, destinate a soggetti in età avanzata (media sopra i 65 anni). Non sono dei simpaticoni: tutti i sondaggi ci dicono che gli italiani sono favorevoli all’abolizione della caccia e i referendum nazionali del 1990 e del 1997 si attestarono su risultati anti-caccia tra l’80 e il 92%. Sulla pericolosità della caccia non vi sono dubbi: ogni anno la stagione venatoria si chiude con un centinaio di vittime tra morti e feriti, molti dei quali anche tra persone che con l’attività venatoria non hanno nulla a che fare, ma che restano vittime di «incidenti» di caccia mentre giocano, passeggiano o coltivano la loro terra. Di fronte a un quadro del genere è inspiegabile perché così tanti ministri, parlamentari e assessori regionali siano sempre pronti a farsi promotori delle istanze dei cacciatori. Con una costanza degna di miglior causa, il Parlamento si occupa ciclicamente di proposte di legge per diminuire la tutela della nostra fauna e favorire gli sparatori della domenica. I calendari venatori regionali contengono sempre dei «regali» per le doppiette, nonostante i tribunali amministrativi li boccino ogni anno. Le Regioni distribuiscono contributi economici alle associazioni venatorie e contemporaneamente cercano di ridurre parchi e riserve sottratti alla caccia.
Recentemente si è arrivati all’assurdo della proposta del centrodestra in Veneto e Lombardia di insegnare la caccia a scuola. Con la scusa di difendere le tradizioni, l’assessore regionale all’istruzione del Veneto e una consigliere regionale della Lombardia si stanno impegnando affinché gli studenti possano apprendere quanto sia formativo guardare morire caprioli, volpi o lepri dopo averli abbattuti con un’educativa schioppettata.
Pur di andare incontro all’1% scarso della popolazione non ci si sottrae al ridicolo. Pare troppo anche per dei politici improvvisati e probabilmente c’è sotto qualcosa di più. Intanto la capacità delle associazioni venatorie di orientare i voti dei loro iscritti molto più di quanto vogliano o possano fare le associazioni animaliste e ambientaliste. Poi la continuità tra i cacciatori e una parte consistente del mondo agricolo, in particolare quello delle grandi associazioni di categoria sempre pronto a individuare i problemi del settore in lupi e cinghiali, trascurando le reali ragioni legate alle folli politiche di mercato. E infine il fatto che per cacciare ci vogliono le armi i cui produttori stringono accordi con esponenti politici da sempre come è accaduto con Matteo Salvini che, nel 2018, in piena campagna elettorale, si precipita a Vicenza per presidiare la fiera della caccia e sottoscrivere impegni rispetto alle richieste dei detentori di armi (e quindi di chi le produce e le vende per il mondo).
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