La scrittrice Tlotlo Tsamaase è una delle voci più innovative e interessanti della narrativa africana contemporanea. Le sue opere possono vincere premi internazionali per la narrativa di fantascienza come il Nommo award – mai attribuito prima di lei a un autore del Botswana – e con altrettanta facilità finire tra i finalisti dei Lammys, il più importante riconoscimento internazionale per la letteratura Lgbtq. I suoi racconti e i suoi poemi compaiono regolarmente nelle antologie sulla nuova letteratura di fantascienza.
In Italia è pubblicata dalla casa editrice indipendente modenese Zona 42: in catalogo figurano titoli come Silenziosa sfiorisce la pelle (finalista sia al Nommo che al Lammy), Dreamport, Il distretto della cervice, tutti tradotti da Giulia Lenti. Tsamaase sarà a Roma per partecipare al Festival delle scienze in programma all’Auditorium. Domani, con la scrittrice e game designer indiana Lavanya Lakshminarayan, parteciperà all’incontro «Futures found in translation». L’ibridazione tra scienza e arte è uno dei temi dell’edizione 2022, ed è un filone in cui Tsamaase si muove a suo agio.
«Ho studiato architettura all’università del Botswana: è il punto di incontro tra arte e scienza. Usare la scienza per creazioni artistiche che siano anche funzionali e vivibili è sempre stata la mia sfida. Facevo progetti complicati che dovevo rendere realizzabili e solidi: un’impresa se, per esempio, vuoi progettare un edificio di forma parabolica e devi spiegare al docente quale materiale possa supportare quella forma e sia adatto al clima locale. Anche quando scrivo una storia di fantascienza devo combattere con la fattibilità dell’opera. Per esempio in Eco-Humans gli umani pagano per una dose di ossigeno e di luce solare e ho dovuto approfondire cosa questo implichi. Sono umani? E se non lo sono, qual è la spiegazione scientifica o soprannaturale? Spesso guardo alla scienza e alle nostre narrazioni mitologiche come ispirazione»

Lo studio dell’architettura si riflette anche nella sua scrittura?
Alla facoltà di architettura ogni professore aveva il suo modo di insegnare. In una lezione imparavamo le regole della progettazione, in un’altra il docente ci incoraggiava a esprimere la nostra creatività senza limiti e lì mi sentivo finalmente libera. Poi, un altro ci insegnava come rendere realizzabili i nostri progetti, anche i più folli. Non provavo alcun divertimento nello studiare la scienza dei materiali, il clima, i calcoli mi sembravano rigidi ma necessari. Mi pareva di imparare un nuovo linguaggio e, dato che esercitavo a fondo la mia creatività, di avere idee interessanti che generavano intuizioni letterarie altrettanto interessanti. Per esempio, se progettassimo gli umani come facciamo con gli edifici, che mondo verrebbe fuori? Studiare architettura è faticoso, difficile e ti toglie il sonno. Bisogna indagare la gestione dello spazio, il clima, l’ambiente, abituarsi all’idea di uscire dai binari per creare un progetto davvero grande. Ma ti insegna a non arrenderti. Oggi mi avvicino alla scrittura nello stesso modo.

Ha scritto poesie, racconti brevi, romanzi: come sceglie la forma espressiva?
Ho «praticato» tutte queste forme. Ho pubblicato poesie, racconti e il mio primo romanzo lungo, Womb City uscirà nel 2023 per la casa editrice statunitense Erewhon Books. Oggi, quando provo a comporre una poesia, spesso poi finisco con lo scrivere un racconto lungo. Tutto dipende dall’idea che ho. Talvolta può durare solo per la lunghezza di una breve storia. Altre volte sono sorpresa da un’idea che non smette di crescere fino a diventare un romanzo.

La fantascienza ha spesso descritto la minaccia dell’«altro»: alieni, robot, mostri che rappresentano il malvagio. La battaglia tra i sessi rappresenta una nuova versione della lotta contro l’«altro»?
Se scrivi, rompi lo stereotipo a cui devono sottostare le donne. Questo crea disagio, rende difficile trovare qualcuno che stia dalla tua parte, soprattutto riguardo alla rappresentazione delle donne nere e dei personaggi non-binari. Inoltre, si ha a che fare con altri livelli di marginalizzazione, non solo l’identità di genere. Mi sorprende che ci sia la disponibilità a interagire con mostri e robot, ma non con una diversa rappresentazione femminile e dell’identità di genere. Identità complesse e il sovvertimento del sistema patriarcale appaiono più alieni degli alieni. Ci sono scrittrici nere che hanno timore di raccontare la loro identità perché sarebbe rischioso per la loro carriera.

Il colonialismo e sessismo sono due temi di grande attualità in Africa e altrove. È in arrivo una new wave di scrittrici africane di fantascienza?
Le nostre autrici hanno sempre scritto di queste questioni, consapevolmente o meno. Forse è il mondo che ora si sta accorgendo di alcune scrittrici di fantascienza e le fa sembrare una novità. Le nostre autrici non sono ascoltate a causa delle barriere che devono superare. Certo, ora ci sono piattaforme e possibilità di accesso che prima non c’erano. Ma la «new wave» africana nella fantascienza c’è sempre stata. Semplicemente, non era percepita e accettata.

Dove ha iniziato a considerarsi una scrittrice professionista: in Botswana o in occidente?
In occidente, perché lì c’era un mercato per la scrittura. In Botswana, quando ho cominciato, non esisteva un’industria editoriale. Oggi ci sono scrittori che si pubblicano in proprio, ma molti trovano sbocchi solo in Sudafrica e nei mercati internazionali e sono costretti a trasferirsi altrove.