La buona arte della disconnessione
Pamphlet «Schiavi della visibilità» di Tonino Perna per Rubbettino Editore
Pamphlet «Schiavi della visibilità» di Tonino Perna per Rubbettino Editore
Nelle società contemporanee, il concetto di visibilità è importante. Probabilmente il Web, che consente alle persone di esporre facilmente la propria vita, ha una notevole responsabilità in questo risultato. Sta di fatto che la capacità di essere visibili sta diventando un elemento significativo nelle relazioni sociali.
Tonino Perna ha analizzato questo tema nel volume Schiavi della visibilità (Rubbettino, pp. 86, euro 10). Si tratta di un pamphlet di dimensioni contenute, ma che, nonostante la sua brevità, riesce a fornire al lettore riflessioni stimolanti rispetto al tema affrontato. Perna è partito dalla constatazione che il bisogno di visibilità è qualcosa d’innato nelle persone. Negli ultimi anni, però, le nuove tecnologie della comunicazione hanno intensificato tale bisogno, che si è trasformato in una vera e propria ossessione. Siamo pertanto diventati tutti «schiavi della visibilità». Riteniamo di esistere e di avere un valore nella società solamente quando siamo connessi agli altri attraverso il Web e pensiamo in tal modo di riuscirea essere visibili. Perna addirittura sostiene, riecheggiando una celebre affermazione di Pier Paolo Pasolini, che è in atto una vera e propria mutazione antropologica.
La parte più interessante del volume è quella relativa all’intreccio sempre più evidente tra la visibilità e l’invisibilità. Vale a dire che Perna, pur sottolineando la grande importanza odierna della visibilità, mette in luce anche come a ciò corrisponda paradossalmente una parallela crescita dell’invisibilità.
L’ambito dove tutto ciò risulta più evidente è quello della politica. Nelle realtà occidentali, annota a ragione Perna, i partiti sono entrati già da alcuni decenni in una grave situazione di crisi, mentre al contrario i loro leader sono diventati sempre più importanti. Al punto che la forma-partito tende a identificarsi con loro e con il loro consenso. Il quale si raggiunge oggi soltanto attraverso una presenza duratura sui media. Ecco dunque la necessità di creare «grandi opere» oppure grandi eventi spettacolari (Olimpiadi, Expo, ecc.). Mentre, nel contempo, si trascura tutto ciò che non dà visibilità, come gli acquedotti, i depuratori e le fognature, sebbene siano invece fondamentali per l’igiene e la salute della popolazione. Anche i movimenti ambientalisti, pacifisti e no global, per diffondere le loro idee, hanno bisogno di diventare visibili all’interno dello spazio sociale. Lo stesso bisogno che hanno coloro che vivono nei «sotterranei della storia», come gli operai che devono salire sulle gru o fare lo sciopero della fame per riuscire a far conoscere le loro proteste.
Perna però sottolinea che oggi è cresciuta la necessità di essere visibili da parte di chi gestisce il potere politico, ma parallelamente si è sviluppata anche la presenza dei cosiddetti «poteri occulti». A cominciare dai «servizi segreti», che operano per definizione in maniera invisibile, pur essendo nello stesso tempo riconosciuti istituzionalmente. Si pensi soltanto a tutte le numerose «stragi di stato» italiane rimaste impunite e al ruolo che i servizi segreti vi hanno svolto. Non è un caso, d’altronde, che Assange e Snowden siano perseguitati perché hanno cercato di mettere a nudo i segreti del potere invisibile. Un potere reso evidente anche dal ruolo giocato dalla finanza, che attualmente opera soprattutto in maniera occulta, la cosiddetta «finanza ombra», il cui valore complessivo è superiore a quello del Pil mondiale. Tale finanza è slegata dall’economia reale e soprattutto dai controlli dei cittadini e delle istituzioni pubbliche, ma esercita un enorme potere sulla vita delle persone. Il vero potere, insomma, è quello invisibile. Sebbene visibilità e invisibilità, in qualche misura, si sostengano a vicenda.
Nella parte finale del volume Perna si è chiesto come sia possibile uscire da questa situazione. Le sue risposte sono diverse. Innanzitutto, scrive che occorre «andare al di là del pensiero unico», vale a dire liberarsi da quell’ideologia economicistica che ha contaminato ormai l’intera esistenza quotidiana. Quell’ideologia per cui persino un paesaggio o un bene culturale acquistano un’utilità sociale solamente se vendibili sul mercato. Inoltre, per Perna, bisogna «liberare le energie sommerse», vale a dire fare conoscere quell’intensa attività sociale che rimane solitamente nascosta perché non è utile ai media per catturare l’attenzione del pubblico. Infine, è necessario «promuovere le buone pratiche», cioè far conoscere tutte quelle attività che vengono quotidianamente realizzate da tanti amministratori «illuminati» e che, se divulgate, possono innescare processi imitativi.
Questa posizione potrebbe sembrare nostalgica e in parte probabilmente lo è. Ma Perna sostiene che già oggi una porzione minoritaria della popolazione delle società economicamente più sviluppate sente l’esigenza di un altro modo di vivere. Perna insomma ci dice che questi uomini e donne sono alla ricerca di una nuova forma di vita comunitaria dove sia possibile ricordare il passato e sia consentito praticare la difficile «arte della disconnessione», al fine di ritrovare un proprio spazio interiore. E dove, soprattutto, a contare sia un tessuto sociale che valorizza ciò che si fa e ciò che si è, indipendentemente da quanto si riesce a essere visibili.
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