La biodiversità è la chiave per ripensare la politica
Dovremmo sederci un attimo ogni tanto e pensare bene al significato della parola biodiversità. Negli ultimi trent’anni è entrata nel linguaggio della nostra quotidianità, ne sentiamo parlare sempre di più […]
Dovremmo sederci un attimo ogni tanto e pensare bene al significato della parola biodiversità. Negli ultimi trent’anni è entrata nel linguaggio della nostra quotidianità, ne sentiamo parlare sempre di più […]
Dovremmo sederci un attimo ogni tanto e pensare bene al significato della parola biodiversità. Negli ultimi trent’anni è entrata nel linguaggio della nostra quotidianità, ne sentiamo parlare sempre di più e abbiamo imparato che in qualche modo accompagna la nostra vita ogni giorno. Magari non sappiamo come, non cogliamo perfettamente ogni dettaglio e non colleghiamo le cose tra loro. Ma il legame è strettissimo.
La biodiversità è la diversità della vita in ogni suo aspetto. Questo è il sunto della definizione ufficiale che però non rivela effettivamente a tutti cosa rappresenti nella nostra quotidianità.
Avremmo mai immaginato che produrre un pane con lievito madre, o un formaggio con fermenti naturali, o un vino senza lieviti aggiunti, potesse giocare a favore della conservazione della biodiversità? Avremmo mai immaginato che insistere sull’agroecologia, sul rispetto del suolo, senza aggiunta di chimica e con lavorazioni poco invasive, potesse significare giocare a favore della conservazione della biodiversità? Slow Food ha messo la biodiversità al centro della propria visione politica (sull’argomento oggi esce un nuovo position paper che si può leggere su www.slowfood.it) come strumento di resilienza delle comunità rurali, del contrasto al cambiamento climatico, del rafforzamento delle politiche sociali e delle economie locali a livello globale, nel nord come nel sud del mondo.
E questa visione, giorno dopo giorno, ci ha visti impegnati a osservare la biodiversità visibile e invisibile, non solo razze, varietà, ecotipi e prodotti trasformati frutto della sapiente cultura di migliaia di donne e uomini, ma anche il mondo dei batteri, dei funghi, dei microrganismi che, in quanto nascosti, rischiano di essere la parte debole dell’ecosistema.
Abbiamo però bisogno di guardare tutti dalla stessa parte. La biodiversità continua a erodersi, anno dopo anno. Si è appena conclusa la decade della biodiversità delle Nazioni unite, con un fallimento determinato dal continuo antropocentrismo che poniamo dinanzi a tutto, soprattutto dinanzi alla natura e al pianeta.
Anche alcuni obiettivi di sostenibilità di Agenda 2030 sono fortemente legati alla conservazione della biodiversità, sia terrestre che acquatica, e anche in questo caso i target da raggiungere non sembrano alla portata di un processo politico dissociato che guarda costantemente da un’altra parte.
Eppure, non possiamo pensare che conservare la biodiversità debba essere solo impegno del singolo cittadino con scelte consapevoli e con responsabilità. Abbiamo bisogno di uno sforzo in più da parte di chi costruisce le politiche di sviluppo territoriale, che sappia dare forza alla moltitudine di agricoltori e trasformatori di piccola scala che attraverso il loro impegno valorizzano le risorse genetiche locali giocando a favore di clima, conservazione di suolo, conservazione degli ecosistemi. Insomma, fanno la transizione ecologica.
Dal secondo dopoguerra abbiamo progressivamente perso la capacità di relazionarci con il pianeta, abbiamo deciso che a comandare siamo noi, abbiamo deciso che la massimizzazione del profitto sia un legittimo motivo per spingere in modo sfrenato.
La pandemia ci ha davvero riportato sulla terra, ha messo in evidenza la nostra debolezza, la nostra infinitesimale dimensione rispetto alla forza della natura. Abbiamo imparato? Noi speriamo di sì. Lo sosteniamo in ogni rigo di un nuovo documento di posizione che accompagna i nostri riconoscimenti nella giornata mondiale della biodiversità che, come ogni anno, ci richiama alla nostra responsabilità.
L’agroindustria non potrà mai guardare bene alla biodiversità, guarda a massimizzare il profitto con cui ancora oggi si pensa di valutare l’efficienza di una impresa agricola. Se nel bilancio aziendale dell’agroindustria potessimo mettere anche il costo sociale e ambientale, allora forse capiremmo che quel modello non è poi così efficiente.
Forse capiremmo che guardare al futuro dei nostri figli richiede una svolta importante che deve usare la biodiversità come strumento per innescare meccanismi virtuosi a vantaggio di una transizione ecologica piena di veri contenuti.
Consapevoli del fatto che se la biodiversità vive, vivrà il pianeta e tutti gli esseri viventi avranno un’occasione per il futuro.
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