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La biodiversità della fauna selvatica non è un lusso ma una necessità

La biodiversità della fauna selvatica non è un lusso ma una necessità

Ecosistemi Tra i progetti della biologia della conservazione in Europa spiccano quelli della lince, del bisonte, del castoro, del visone e dell’alce

Pubblicato circa un anno faEdizione del 20 luglio 2023

La biologia della conservazione si propone di studiare e proteggere le specie viventi, i loro habitat e gli ecosistemi presenti sulla Terra, al fine di preservarne la diversità biologica. Il valore della biodiversità per i non addetti ai lavori può risultare spesso sfuggente, una fascinazione romantica e naif più che una concreta necessità. Non è semplice comprendere come tutte le specie, anche quelle apparentemente insignificanti se non in alcuni casi addirittura nocive, è importante che non spariscano dall’ambiente dove si sono originate e dove sono sempre state.

LA CONVINZIONE DEL VALORE di ogni specie non è una fissazione astratta ma passa per il riconoscimento concreto del ruolo che ciascuna di essa ha all’interno di un sistema molto complesso e intensamente interconnesso che è la vita. Catene trofiche, rapporti preda-predatori, coevoluzioni, simbiosi, sono solo alcuni esempi degli equilibri che si instaurano fra le specie appartenenti ai 5 regni della vita, ognuna delle quali rappresenta il nodo di una rete che, se viene a mancare, può compromettere il funzionamento dell’interna struttura o di una sua buona parte.

I PROGETTI DI MAGGIORE impatto mediatico sono quelli che riguardano animali di medie-grosse dimensioni la cui presenza interferisce con le attività, quando non la sicurezza, degli esseri umani. In particolare i progetti di reintroduzione o di rafforzamento della popolazione di una specie non più presente o prossima all’estinzione in una zona dove lo era sempre stata. Il Life Ursus portato avanti nel parco dell’Adamello Brenta è un esempio, come il rilascio avvenuto di recente di 5 esemplari di lince euroasiatica nella Foresta di Tarvisio in Friuli Venezia Giulia, territorio storico per la presenza di questa specie ormai rarissima in Italia. In passato è stato fatto anche per camosci, stambecchi, marmotte, lontre.

PER QUANTO RIGUARDA il continente europeo, oltre alla lince, rilasciata anche in Slovenia e Croazia, c’è l’esempio del bisonte in Slovacchia e Romania, l’orso sui Pirenei francesi, i castori in Austria, i visoni europei in Germania e Estonia, i citelli in alcuni paesi dell’Europa centrale cosi come anche orsi sempre in Austria, la lince pardina in alcune aree spagnole che poi hanno interessato il Portogallo, l’alce in Danimarca: anche qua spesso siamo a cavallo tra reintroduzioni dove la specie era totalmente scomparsa localmente e progetti di rinforzo (o ripopolamento) che implica il rilascio di ulteriori individui prima che la popolazione di estingua naturalmente. Non sempre queste attività di protezione sono state accolte con favore dalle popolazioni locali.

«I PROGETTI di reintroduzione/rinforzo hanno un paradosso interno» dice Stefano Filacorda, docente di gestione della fauna selvatica all’Università di Udine. «Per lo più hanno un successo incredibile in termini di insediamento e diffusione della specie, ma questo implica un aumento dei conflitti con gli uomini». Gli orsi sono pericolosi per la zootecnia e l’uomo, le marmotte fanno danni alle zone di pascolo, i castori intaccano la vegetazione riparia e aumentano dei rischi di esondazioni, le lontre sono un rischio per gli allevamenti di pesci.

«LO SFORZO DELLA BIOLOGIA della conservazione – continua Filacorda – è di far capire che una natura complessa è meglio di una natura semplificata. È difficile fare comprendere il valore intrinseco di una specie in termini di vantaggi e svantaggi, perché sono molteplici e sovrapposti. Un allevatore fatica a capire che il lupo, che minaccia i suoi animali, può essere un aiuto contro i cervi in eccesso che gli impediscono di fare foraggio o limitare la presenza dei cinghiali; complessità ecologica significa anche complessità sociale e culturale».

IL LUPO IN ITALIA NON È MAI stato reintrodotto: il suo ritorno è frutto di un ripopolamento naturale. La non accettazione di questo animale è spesso anche frutto di questa disinformazione. Altra cosa poco nota è che la tutela di animali selvatici come il lupo è un’arma contro i cambiamenti climatici. Lo afferma uno studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change. Attraverso i loro movimenti e comportamenti gli animali distribuiscono semi e sostanze nutritive e movimentano il suolo scavando, calpestando e costruendo nidi. Tali azioni aiutano le piante a crescere e immagazzinare più carbonio e possono persino prevenire gli incendi. Gli animali possono anche trattenere il carbonio nel suolo e nei sedimenti, modificando il modo in cui i microbi e le sostanze chimiche lavorano in questi sistemi. «Il lupo in particolare – specifica il professor Filacorda – in questi anni meno rigidi e meno nevosi si sostituisce alla mortalità naturale, fornendo così possibilità di sopravvivenza alle specie di necrofagi quali mustelidi, volpi ed uccelli; inoltre, controllando gli ungulati contrasta la diminuzione della copertura arborea».

SECONDO LO STUDIO, 9 specie selvatiche – elefanti delle foreste africane, bisonti americani, pesci, lupi grigi, buoi muschiati, lontre marine, squali, balene e gnu – forniscono più del 95% del fabbisogno annuale necessario per raggiungere l’obiettivo globale di estrarre 500 miliardi di tonnellate di anidride carbonica dall’atmosfera entro il 2100, contribuendo a limitare l’aumento della temperatura globale.

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