«La Bielorussia non è l’Ucraina, ma manca una vera sinistra»
Bielorussia Intervista a Alexander Buzgalin, professore all'università Lomanosov di Mosca: «Un’ipotesi poca realistica è che possa esserci una rivolta di operai, medici, studenti che imponga una svolta in senso socialista. È una piccola speranza che va coltivata»
Bielorussia Intervista a Alexander Buzgalin, professore all'università Lomanosov di Mosca: «Un’ipotesi poca realistica è che possa esserci una rivolta di operai, medici, studenti che imponga una svolta in senso socialista. È una piccola speranza che va coltivata»
Alexander Buzgalin è professore all’università Lomanosov di Mosca, direttore del centro di ricerca del marxismo contemporaneo e della rivista «Alternative».
Professore, quali sono i caratteri strutturali del sistema bielorusso? Parte della sinistra in Italia ritiene che là esista una sorta di socialismo…
La radice degli attuali problemi è la specificità del sistema socio-economico bielorusso. Negli ultimi decenni nel paese si è sviluppato un modello di capitalismo semi-periferico in cui il potere economico e politico non appartiene al capitale privato ma a un apparato statal-burocratico paternalistico, di cui il simbolo è Lukashenko. Di conseguenza, il capitale privato si trova in una posizione subordinata. È significativo che questa subordinazione non sia solo economica, ma anche amministrativa, politica e persino culturale e ideologica.
Quali sono i motivi di fondo della crisi che sta attraversando la Bielorussia?
La classe lavoratrice in Bielorussia fino a poco tempo viveva in condizioni relativamente buone, ma si sentiva oppressa dal paternalismo burocratico, c’era una forte senso di alienazione. Tuttavia questo “benessere” è andato in pezzi, lo sviluppo economico è rallentato e le diseguaglianze sono aumentate. E tutto questo ha condotto a una disposizione della maggioranza della Bielorussia profonda a sostenere le protesta. Allo stesso tempo c’è però anche la paura di perdere la relativa stabilità di un’esistenza assicurata dal paternalismo. Quindi fino a poco tempo fa, all’esplosione della crisi del coronovirus, la maggioranza aveva una posizione paradossale: erano favorevoli a dei cambiamenti ma non al capitalismo liberale. Non vedendo un’alternativa pensavano “che resti Lukashenko”.
Come mai la protesta ha assunto così grandi dimensioni?
La reazione di Lukashenko alle proteste dopo le accuse di brogli è stata di una violenza inusitata e ciò ha fatto cambiare la radicalmente situazione negli ultimi giorni. Il bielorusso medio – ma anche i tanti operai che iniziano a scioperare in queste ore – si sveglia e comprende che il paternalismo non è solo stabilità ma anche stagnazione. E che il capitalismo, anche quello paternalistico-burocratico, è sfruttamento e subordinazione…La base sociale che ancora sostiene Lukashenko è passiva e una parte di questa, ormai disorientata da quanto avviene muove verso l’opposizione. Lukashenko avrebbe potuto aprire un confronto con chi protestava ma ha preferito la strada della violenza. La democrazia non è nelle sue corde.
Che peso ha l’opposizione liberale nelle proteste?
Soprattutto fra i giovani l’ideologia neoliberale fa presa. Nella Bielorussia paternalista-capitalista le tendenze all’individualismo e al consumismo sono alimentate e al contempo bloccate. Il risultato è una contraddizione che conduce all’esplosione. Da qui la posizione “filo-occidentale” di una parte significativa della piccola e media borghesia e di coloro che illusoriamente si considerano proprietari di un considerevole «capitale umano». Una minoranza sociale ma politicamente attiva e capace di usare gli strumenti di comunicazione moderni. Vistasi sconfitta su questo terreno, la burocrazia ha reagito con la forza bruta, peggiorando ancora di più la propria posizione.
Che evoluzione della crisi prevede?
Ci sono dei fattori “esterni” che sarebbe ingenuo non valutare. La Bielorussia è circondata dai paesi dell’Ue (e gli Usa dietro di loro) e dall’Ucraina. L’Occidente intende usare la lotta per la Bielorussia come punto d’appoggio economico, politico e militare e utilizza non solo denaro e tecnologie politiche ma anche i metodi moderni della manipolazione culturale e informativa. Gli operai, i contadini e gli insegnanti bielorussi non otterranno la libertà politica dal sistema neoliberista. Nella migliore delle ipotesi riceveranno diritti formali ma saranno manipolati da parte del capitale aziendale globale e dei suoi politici. Economicamente, dal neoliberismo, la classe lavoratrice non riceverà altro che l’abolizione delle garanzie sociali già ridottissime: si trasformerà in un popolo precario impoverito e politicamente disorganizzato. Dall’altra però c’è Lukashenko, un potere repressivo – sostenuto probabilmente dalla Russia – che potrebbe ancora puntare al bagno di sangue. E infine c’è anche una terza ipotesi, purtroppo attualmente la meno realistica mancando oggi una vera sinistra: quella che ci sia un’insorgenza degli operai, dei medici, degli studenti che imponga una svolta in senso socialista. Una piccola speranza che va coltivata. Anche perché qui non siamo in Ucraina, esiste una grande tradizione antifascista. Non a caso la prima parata dopo la guerra di 30 brigate partigiane, che durò diverse ore il 16 luglio 1944, si svolse a Minsk proprio nelle piazze dove oggi si svolgono gli scontri.
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