Erasmo, la Bibbia è refrattaria come la draconite
Fortuna del classico Nei «Paralleli ovvero similitudini», ora da Einaudi a cura di Carlo Carena, Erasmo ci offre una galleria di sentenze antiche rilette con arguzia e sarcasmo: arte, letteratura, religione, costume...
Fortuna del classico Nei «Paralleli ovvero similitudini», ora da Einaudi a cura di Carlo Carena, Erasmo ci offre una galleria di sentenze antiche rilette con arguzia e sarcasmo: arte, letteratura, religione, costume...
Quella dei proverbi è una categoria del discorso letterario più utilizzata come testimonianza antropologica che studiata come tipologia testuale, quale è stata classificata fin dalle Einfache Formen di André Jolles e lucidamente sintetizzata ne Les formes brèves di Alain Montandon. Ne sono state censite infinite sottospecie e sovraspecie come la massima, la gnome, la sentenza, l’apoftegma, che qualcuno sovrappone e altri disarticolano in ulteriori derivazioni, a volte riaggregandole in filoni collegati alle classi sociali e alla trasmissione classica o biblica. Il meccanismo su cui si basano è la cristallizzazione di pensieri di generale plausibilità attribuiti alla «saggezza» popolare o a elaborazioni d’autore in una formula resa efficace da semplici architetture retoriche: di solito la contrapposizione, anche in forma di ossimoro, e dunque la simmetria di parti della frase che si corrispondono, spesso rese memorizzabili grazie all’assonanza o rima fra i termini in gioco. Questa bipartizione ha prodotto una categoria del proverbio denominata parabolae, che il medioevo praticò anche in alcuni dei suoi massimi pensatori, come Abelardo nel Carmen ad Astralabium per il figlio e Alano di Lille nel Liber parabolarum, di cui Oronzo Limone fornì nel 1993 una provvidenziale edizione critica rimasta poco valorizzata.
Di questa tradizione si rivela erede Erasmo da Rotterdam, campione dell’umanesimo cristiano e maestro della critica testuale di testi classici e biblici, animato da un pacifismo profondo quanto inascoltato e promotore del mito (già carolingio, a sua insaputa) dell’Europa come sistema culturale. Nell’elenco sterminato delle sue opere figurano la raccolta di circa quattromila Adagia (più volte tradotta in italiano) e quella assai minore che lui intitolò appunto Parabolae sive similia giustapponendo il nome greco di un genere letterario ellenico, ma anche biblico e medievale, a quello latino di una figura retorica come usato da Quintiliano; e che trova veste italiana solo ora grazie alle cure del benemerito Carlo Carena. Paralleli ovvero similitudini, come si intitola il volume della «Nuova Universale Einaudi» (pp. 665, € 36,00), presenta 1369 confronti fra una situazione concreta e una disposizione d’animo ricavati da opere di Plutarco, Seneca, Aristotele, Plinio, Teofrasto (in ordine di apparizione), più occasionali citazioni da Demostene e Luciano.
La prefazione di Carena li presenta come «un trattato di psicologia e di morale, frutto di un’osservazione acuta e appassionata della psicologia e dei comportamenti (…) degli uomini» che ebbe un successo straordinario per almeno un secolo fin dall’apparizione del 1514 a Strasburgo in ristampe, edizioni con le fonti, aggiornamenti e modernizzazioni. La parte «classica» di queste sentenze consiste in curiosità su ambienti, narrazioni, costumi di collocazione agricola, religiosa, ginnica, zoologica, numismatica, perfino culinaria, come il perfido parallelo n. 78: «I bravi cuochi mescolano ai condimenti delle vivande alcunché di asprigno – ottima traduzione di austerum –, che elimini la nausea della dolcezza: così gli adulatori mescolano una finta franchezza e rigidezza, per cui non adulano mai così tanto come quando sembrano rimproverare francamente». L’applicazione allegorica (in termini medievali si chiamerebbe tropologica) al comportamento umano, quasi sempre dovuta a Erasmo, alterna sviluppi prevedibili ad affondi acuti e descrizioni pittoresche. Un esempio il n. 738, che adatta alla tecnica oratoria un passo dell’Epistola IV 33 a Lucilio di Seneca: «Non stupisce un unico albero dove si è sviluppata un’intera foresta: così non si rileva una massima in un discorso stracolmo, ma se sono rare»; e il folgorante 780 «Come un coro si compone di voci differenti (da Ep. XI 84): così l’insieme di varie scienze forma un erudito»: il confronto con la natura composita della cultura si ritrova addirittura nel commento di Zurck alle orazioni di Cicerone del 1836. Spietato il 796, su base probabilmente senecana rimasta senza identificazione: «Come chi ha qualche spina in un piede cammina sulle spine ovunque vada: così per una mente sterile ogni argomento è sterile».
Non poche sono le incursioni nella critica letteraria, come l’899 (da Plinio il Vecchio) su Timante di Sicione, lodato perché in tutte le sue opere ciò che si intuisce è sempre più di ciò che vi è dipinto: così nel migliore stile oratorio, quando il pensiero prevale sulle parole. Ma non mancano applicazioni impreviste alla religiosità pur critica che permea lo spirito di Erasmo. Così l’aneddoto di Plinio su Alessandro Magno che non voleva essere ritratto da nessun artista tranne Apelle (in pittura), Lisippo (in scultura) e Pirgotele (in glittica) è interpretato come paradigma dell’inopportunità «che Cristo sia predicato e la virtù encomiata da chicchessia». Ugualmente la refrattarietà della draconite alla politura e levigatura è paragonata nel numero 857, sempre da Plinio, alle Sacre Scritture, il cui splendore peculiare non ammette artifici filosofici e retorici: Erasmo entra così a piedi uniti nella polemica millenaria sulla liceità delle riscritture bibliche che erano dilagate nella tarda antichità e nel medioevo e producevano ancora capolavori come il De partu virginis del Sannazaro, ma che sembreranno anche a Ernst Robert Curtius un genre faux della cultura europea, con buona pace di Milton e Klopstock.
Altrettanto sorprendenti le malignità «etniche» o anticlericali che Erasmo si lascia sfuggire ad esempio nel n. 865, dove osserva che non immagineremmo mai di vedere un olandese bravo a cavallo o un inglese frugale o un teologo eloquente, espressioni delle sue celebri idiosincrasie.
Un’opera come questa va dunque letta non come deposito di perle della saggezza classica, ma come galleria di squarci di cultura e vita quotidiana dell’antichità, abbinati con varietà di meccanismi retorici a battute critiche e talora sarcastiche su situazioni sociali e a riflessioni su arte, letteratura, religione e in generale sulle pieghe più profonde della natura umana. Lascia però anche ampio terreno, per i cacciatori di fonti, all’identificazione dei passi rimasti privi di paternità e di tutte le «similitudini» concepite da Erasmo stesso.
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