La bellezza indisponente
Mostre Alla Galleria z2o Sara Zanin di Roma e nelle botteghe delle vie adiacenti, la rassegna «Hidden Beauty», orchestrata da Marina Dacci e Krištof Kintera (l'artista praghese è qui in veste anche di curatore), semina visioni irrituali
Mostre Alla Galleria z2o Sara Zanin di Roma e nelle botteghe delle vie adiacenti, la rassegna «Hidden Beauty», orchestrata da Marina Dacci e Krištof Kintera (l'artista praghese è qui in veste anche di curatore), semina visioni irrituali
La mostra Hidden Beauty curata da Marina Dacci e Krištof Kintera alla Galleria z2o Sara Zanin di Roma (giovedì 24, dalle 18,30, ci sarà un tour alla scoperta delle opere; la rassegna è visitabile fino al 31 maggio) vuole indagare il concetto di bellezza ma – e qui è la novità – una bellezza discutibile, antipatica, irrituale e, soprattutto, soggettiva. Per fare ciò, tutti gli stereotipi, antichi e contemporanei sulla bellezza vengono smontati e oltrepassati dalla riflessione sulla sua natura polimorfa e molteplice.
LA BELLEZZA È LADDOVE il nostro sentire e la nostra percezione ricevono attrazione, e ciò ci libera dallo stereotipo e legittima il concetto. La mostra è ingegnosamente disseminata negli spazi della galleria e in otto siti attigui, nel reticolo stradale del centro storico all’interno di botteghe di artigiani. Concettualmente, il termine «hidden» del titolo sta ad affermare sia una valenza misteriosa, sottile e non plateale di bellezza sia, la ricerca delle opere a cui il visitatore si prodiga nel reperirle negli otto luoghi non deputati e inusuali. Gli artisti invitati: Anna Hulacová, Krištof Kintera, Pavla Sceranková e Richard Wiesner sono quattro cecoslovacchi, che in una inedita e fine comunanza di proposte delineano (differentemente) una idea anticonvenzionale di bellezza.
Krištof Kintera (1973) è quel geniale artista praghese, noto per l’immaginario potente e surreale dei suoi lavori imprevedibili e toccanti e che contengono sempre quel tanto di sottigliezza politica, di umore ironico e di fascino poetico. Restano ancora memorabili le sue personali Nervous Trees alla Galerie Rudolfinum di Praga e Postnaturalia alla Fondazione Maramotti entrambe del 2017, in cui grazie alla sua energia inventiva aveva ribaltato gli spazi con le sue «nervose» e provocatorie installazioni fatte di materiali di riciclo, elementi naturali e trans-naturali, oggetti quotidiani rimontati, riavvitati che danno vita a stupefacenti macchine celibi.
A ROMA, KINTERA (nella duplice veste di artista e curatore) insinua le sue opere nelle botteghe artigiane del centro (entro il perimetro di via della Vetrina, Coronari, Governo Vecchio, Vicolo Savelli), spingendo il fruitore e rintracciare quella hidden beauty che profonde dai suoi lavori. «Non mi importa della bellezza, oppure potrei dire che ne ho paura – afferma – Il modo in cui la bellezza spesso viene pubblicizzata intimorisce. Alcuni dei miei lavori sono brutti… e sporchi, plasmati con fango e materiale di risulta. Una vita reale non ritoccata è fatta di cicatrici, brufoli e odori…Bello può essere qualcosa fuori posto, di rotto, qualcuno che ha perso la pazienza, che è triste, qualcuno a cui si è disfatto il trucco o ha perso il fidanzato».
COSÌ LA SUA LIBRERIA di calcestruzzo e volumi veri The End of Words si confonde tra gli scaffali della Antica Libreria Cascianelli, la pila di cuscini Balance of Disbalance tra il vintage anni 60 di Abiti usati, il cestino Inside in Outside nella Pasticceria La Deliziosa, la scultura Prototype of Mood Stabilizer sulla vetrina del ferramenta, la scultura di sacchi di calcestruzzo e scarpe Me, Waiting in Another Room da Moves Fitness, How Nature Works nell’Albero antico Bonsai e così itinerando nelle stradine romane, invase dal solito e disattento turismo di massa che, però, grazie alla stasi che le opere concedono, ci permette di rimodulare l’idea di bellezza perfino di questa città eterna e degradata.
In galleria, Kintera posiziona la bellissima scultura Cerebrum Asphaltum realizzata in asfalto, struttura metallica, cavi e A-crystal che ripropone l’idea di una natura violata, post-organica e con cui la nostra epoca deve fare i conti.
NELLE SALE SI DIVINCOLANO tra loro le sculture di Pavla Sceranková (1980) reinventati da oggetti del quotidiano e della tradizione, riabilitati spesso a meccanismi interattivi con lo spettatore; i metafisici busti di calcestruzzo e stucco acrilico di Anna Hulacová (1984), gli object trouvé affettivi di Richard Wiesner (1976) che ripropongono tutti e incondizionatamente un’idea di bellezza acuta, catturata in sentimenti, sguardi, identità e memorie individuali.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento