Cultura

La bellezza inaudita di cominciare

La bellezza inaudita di cominciareFoto Getty Images

TEMPI PRESENTI Anticipiamo l’intervento inserito nell’ultimo numero del trimestrale «Sotto il vulcano» edito da Feltrinelli. Diretta da Marino Sinibaldi, la rivista appena pubblicata e in libreria, è dedicata a «Gli inizi». Quel momento in cui per la prima volta nella testa di un artista arriva l’idea che svilupperà, e poi lo porterà all’opera compiuta. Quell’immagine, quel desiderio

Pubblicato circa un anno faEdizione del 1 settembre 2023

Quando ero piccola giravo per casa e scrivevo incipit, dicevo: «Da grande scriverò un romanzo e comincerà così», poi non scrivevo niente, ma il niente cominciava benissimo. Conosco l’incipit di moltissimi romanzi, di molte poesie: mi danno coraggio, sono il movimento che si deve imprimere al corpo per alzarsi da quella sedia, da quel letto, per prendere quel treno, per accendere il computer, caricare la lavastoviglie e decidersi ad andare dal dentista.
Chi ben comincia è già a metà dell’opera, ed è vero, ma non è meno interessante del chiedersi, senza potersi rispondere, se è iniziato prima l’uovo o la gallina. Sono curiosa degli inizi degli altri, delle loro nascite, degli inizi delle cose. Credo che nell’inizio ci sia da scandagliare tanto di quello che sarà il risultato: quello che vediamo, la cosa fatta, la poesia riuscita, l’ultima bracciata che segna la vittoria. Sì, nella fine c’è l’inizio, e a me interessa quello, mi interessa anche se non esistono proprio, gli inizi, come nei quadri di Escher: mi interessa sapere che perfino Escher deve aver messo la matita in un punto piuttosto che in un altro di quel foglio, deve aver segnato quella linea prima di quell’altra.Mi piace il momento di silenzio che c’è prima della frase, il respiro dell’attore, il cronometro prima che inizi a iniziare, e la persona che ti dice «non so da dove cominciare», e proprio lì ha iniziato già. Amavo, all’università, la scrittura bustrofedica, che andava di qua e di là, senza tornare accapo, e senza staccare le parole l’una dall’altra così che ci fosse un unico inizio, certo, e mi sono sempre chiesta, quando il docente segnava un punto qualunque sulla retta, da chiamare arbitrariamente «zero», perché stesse segnando proprio lì, e non lì accanto.

COSA SIGNIFICA gli inizi? Significa quel momento in cui per la prima volta nella testa di un artista arriva l’idea che svilupperà, e poi lo porterà all’opera compiuta. Quell’immagine, quel desiderio. Poi significa come si comincia, quando comincia quella sinfonia, quel saggio, quel percorso di vita? Quando davvero si pone la prima pietra e come? Significa dare il via a un’esperienza inedita, significa una scoperta, un oggetto mai ancora utilizzato, tentare un nuovo oggetto, soddisfare una nuova necessità, aprire un nuovo fronte di scavo. Da qui: inizi significa noi, come esseri umani di questo tempo, come donne e uomini contemporanei: dove iniziamo? Fin dove riusciamo a guardare dietro di noi: iniziamo dove inizia il nostro cognome, la nostra stirpe, dove inizia la nostra cultura recente, dove iniziano i nostri studi? Qual è l’alpha?
Se vi siete chiesti da dove Minosse abbia cominciato a costruire il labirinto che gli fu tomba, e da dove ripartisse Penelope ogni mattina sul benedetto telaio: questo numero monografico fa per voi. Dentro, ci sono le risposte, e le risposte sono tutte diverse eppure tutte coerenti e coese tra di loro, come se si fossero seduti, i nostri contributor, attorno a un tavolo (rotondo, va da sé) e ognuno avesse raccontato la sua versione dei fatti. Ma anche come se, durante questo simposio, si fossero passati i piatti – assaggia qui –, – fammi provare –.
Un tavolo pieno di parole, e di segni e disegni. Così Guido Tonelli trova un abisso nelle scritture delle origini molto più veritiero di tante ricerche, ma anche solo per dirlo ci serve la portata di Silvia Ferrara, con cagna al seguito. Scopriamo con lei che le lingue vocali principiano dalle mani, «siamo mano», ecco che Chiara Alessi ci passa alcuni oggetti di uso comune mentre ce ne spiega la genesi. E, fondato il linguaggio, possiamo ascoltare Antonella Lattanzi, che ci racconta la sua storia d’amore, d’amicizia, di doppio, come Maurizio Rosenzweig ci fa vedere la sua, famigliare: entrambe sono cicliche e vengono da lontano.

Non da lontanissimo, come nel testo di Adriano Favole e in quello di Gabriel Zuchtriegel, che però si sono scambiati uno stupore: quello di vedere i nostri progenitori «sorridere». Che sia al microscopio o in un calco di gesso, essi ci assomigliano.
Tutti questi inizi siamo noi; è per questo noi collettivo che ho voluto giocare con gli inizi personali, quel momento fragile e magnifico, irripetibile, raccolto dall’intervista che Marino Sinibaldi ha fatto a Massimo Ammaniti: quel momento in cui proiettiamo sul futuro il nostro inizio. Io che non credo al futuro, mi sono ricordata di quando ci credevo: da bambini, in vacanza, a casa dei nonni, stesi su una spiaggia, nel tempo ozioso in cui ci costruiamo come individui, una domanda echeggia sempre: cosa vuoi fare da grande? Io per esempio andavo forte ai Giochi della gioventù e sognavo di correre i 100 metri e vincere un oro olimpico, allora sono andata a chiederlo a chi l’ha vinto davvero, Federica Pellegrini. Sono andata a chiederlo a un premio Oscar, Nicola Piovani. Cosa vuoi fare da grande? L’astronauta. L’ho chiesto a Samantha Cristoforetti.

LE RISPOSTE sono commoventi perché, ancora una volta, dicono di noi. Come dice di noi il testo di Jonathan Coe, di un noi squassato dal capitalismo: come lo dice bene, quanto bisogno ne abbiamo! Ma, ma: come il tuffo dell’atleta, come la precisione dello scienziato, come la caparbietà dell’archeologo, come il talento del compositore, c’è una torsione, tutta umana, tutta nostra, che non ha pari. La poesia. Alla poesia c’è poco da aggiungere: la poesia la guardi e piangi, ti si rompe dentro qualcosa, e quando ne vieni fuori sei intero. Anne Waldman ne ha scritta una per noi, qui tradotta da Vera Linder.
A tutti loro va la mia gratitudine, ma non è un modo di dire. Ho letto parte di questi interventi nella sala d’attesa di un medico, in un momento di grande travaglio psicologico, ed ero altrove, ho imparato, mi sono meravigliata, ho scoperto, ho pianto. Io sentivo che gli inizi potevano essere potenti, ma non sapevo quanto.
Ancora: questo numero è stato illustrato da Isabella Mazzanti: con lei sono otto, le ragazze che partecipano. E sette i ragazzi. Io e Sinibaldi, condirettrice e direttore: una femmina/un maschio, palla al centro. Non l’abbiamo fatto apposta, perché i nomi li abbiamo scelti tutti assieme con l’aiuto di Federico Bona e di Laura Cerutti. È successo perché si può fare, e se si può fare si deve fare, ma è stato magnificamente naturale. Ecco, un inizio potrebbe essere quello in cui la rappresentazione del mondo sia naturalmente bilanciata, naturalmente divisa nei pesi. In questi tempi tetri bisogna tenere gli avamposti saldi.
Infine: quando, per la prima volta, con Marino Sinibaldi abbiamo immaginato questo numero (stavamo davvero a tavola), io avrei sperato di essere condirettrice dell’ultimo volume della rivista letteraria, non il numero sette, o sei, o otto: pensavo che sarebbe stato bello finire con gli inizi. Per fortuna poi sono arrivati tutti i testi che lo compongono, e li ho letti, e ho capito che è uguale: o sette o sei o otto, o la fine, o l’inizio.

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SCHEDA. I contenuti e le perime presentazioni

«Sotto il Vulcano. Idee, narrazioni, immaginari» (Feltrinelli, pp. 144, euro 16) è la rivista diretta da Marino Sinibaldi. L’ultimo numero, l’ottavo (Agosto – Ottobre 2023), è a cura di Valeria Parrella. Dedicato al tema degli inizi, spiegato nell’ultima parte del pezzo che oggi pubblichiamo come anticipazione e che introduce gli e le ospiti, si possono leggere le firme di Guido Tonelli che racconta come è nato l’Universo; Silvia Ferrara interviene sulla nascita del linguaggio mentre Gabriel Zuchtriegel su come inizia una civiltà; lo psicologo della età evolutiva, Massimo Ammaniti, si concentra sullo sviluppo del pensiero consapevole mentre l’antropologo Adriano Favole sul modo di raccontare le origini umane. Antonella Lattanzi e Jonathan Coe intervengono con un racconto inedito su questo tema e Maurizio Rosenzweig con un graphic novel. Nelle rubriche, ritroveremo le riflessioni e i racconti di Andrea Bajani, Marco Balzano, Ilaria Gaspari, Laura Imai Messina e Walter Siti, tra gli e le altre. Nei numeri precedenti hanno partecipato scrittrici e scrittori tra cui Abdulrazak Gurnah, Herta Müller e Olga Tocarczuk, oltre a Margaret Atwood, Ben Lerner, Javier Cercas, Maylis De Kerangal, Karl Ove Knausgård, Jumpa Lahiri, Colum McCann.
Le prime presentazioni dell’ultimo numero sono: a Milano, l’11 settembre alle 19 (laFeltrinelli Pasubio), con Chiara Alessi, Jonathan Coe, Valeria Parrella e Marino Sinibaldi. Poi a Napoli, il 15 settembre, e a Faenza, il 24 settembre.

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