Erant in quadam civitate rex et regina: «c’erano in una città un re e una regina». È l’inizio della favola, il ‘c’era una volta’ che subito immerge in un’atmosfera magica e altra: una città indefinita, un re e una regina, la loro bellissima figlia, così bella da far ingelosire Venere e da far innamorare di sé Amore in persona. La storia di Amore e Psiche, incastonata nel centro delle Metamorfosi di Apuleio (ora pubblicate dalla Fondazione Valla per le cure di Lara Nicolini, Caterina Lazzarini e Nicolò Campodonico con la traduzione – qui riportata – di Luca Graverini) è uno dei grandi classici della letteratura latina: la bella fabella affascinante e ricca di interpretazioni – anche molto diverse tra loro – che l’hanno interessata sin dal Tardo Antico.

La giovane si trova a vivere in una dimora splendente dove ogni notte nel buio incontra un amante misterioso. Curiosa, non riesce a rispettare il patto di non vederlo, una notte accende la lampada e una goccia d’olio bollente risveglia Amore. È la fine: il dio alato scappa via e per recuperare il suo amante Psiche dovrà superare prove mortali, che affronterà con aiuti non umani; nonostante la sua curiosità alla fine ritroverà Amore e genererà una figlia divina, chiamata Voluptas.

La trama, di cui quella di Apuleio costituisce la prima versione, ha avuto un’enorme fortuna, favorita in tempi recenti anche dal successo del film di animazione La Bella e la Bestia, ispirato all’omonima fiaba di G.S. Villeneuve del 1740. Se gli abiti lussuosi, le danze in salone e le ceramiche parlanti del palazzo disneyano richiamano alla mente questa storia, narrata da Apuleio in una lingua particolare e ricercata, è però ben precedente e molto più profondo il rilievo culturale che essa ha esercitato sulla cultura europea. Un volume della collana «Variazioni sul mito» di Marsilio, ormai da tempo punto di riferimento riconosciuto nel panorama degli studi sulla ricezione dei classici (Apuleio, La Fontaine, Keats, Heine, Leopardi, Pascoli, Cvetaeva, Amore e Psiche L’enigma dell’amore, Marsilio «Letteratura universale, pp. 264, euro 18,00), curato da Barbara Castiglioni, ne mette in luce alcune tappe significative con una selezione dei testi a volte brevissimi ma sempre significativi.

Come sempre apre il volume il testo classico, vale a dire la narrazione di Amore e Psiche estratta dalle Metamorfosi di Apuleio. Dopo l’ampio racconto di Jean de la Fontaine, il lettore si imbatte nella magia poetica di un incontro impossibile nell’Ode a Psiche di Keats; è quindi accompagnato a rileggere allegoricamente la vicenda con Leopardi che in una pagina dello Zibaldone (10 febbraio 1821) associa la figura apuleiana all’uomo della Genesi e riflette sui rischi della conoscenza. I quattordici versi della Psyche di Heine aprono uno scorcio sui temi della colpa e della nudità e ci presentano davanti agli occhi una Psiche immutata nel tempo, iconico emblema della sopravvivenza dei classici («Dopo diciotto secoli, diciotto!, / di penitenza, lei è ancora lì»). Alla Psiche dei Poemi Conviviali di Pascoli in perfetto equilibrio tra dottrina e spontaneità segue infine la figura evocativa e rarefatta dell’«anima senza corpo» della Psiche di Marina Cvetaeva.

Come è d’uso in questa collana, tutti i testi (antichi o moderni in lingua straniera) sono presentati in traduzione italiana. Rendere fruibili le opere letterarie mantenendone il carattere poetico è un lavoro complesso ed è uno dei meriti del libro: se la traduzione di Apuleio è quella di Stella Sacchini già pubblicata da Feltrinelli (2020), sono stati tradotti appositamente per il volume i testi di La Fontaine (Susanna Spero), Keats (B. Castiglioni), Heine (Maria Grazia Ciani) e Cvetaeva (Luisa De Nardis).

Nell’introduzione, scritta dalla curatrice, trovano spazio anche molti altri capitoli della ricezione di questa favola, la cui fortuna ampia e sfaccettata è resa evidente dalla continuità diacronica e dalla varietà di autori e opere citati. E se Castiglioni identifica nell’erotismo e nella voluttà il tratto per lei più affascinante del testo di Apuleio, le letture che popolano le sue pagine mostrano la natura molto più complessa e decisamente sfuggente del racconto, che si prestava a essere interpretato in chiave allegorica anche grazie alla scelta del nome proprio della protagonista, Psiche ovvero ‘anima’.

Universale e misteriosa, dunque, e profondamente enigmatica, Psiche è rappresentata con grazia struggente in particolare da Pascoli; il componimento, ben introdotto dalla curatrice, è stato studiato a fondo da Lucia Pasetti in alcuni contributi richiamati nelle note (nelle quali sono spesso suggeriti approfondimenti critici). Prigioniera e piangente, «tenue più del tenue fumo / ch’esce alla casa», la Psiche pascoliana, in linea con la tradizione, perde il suo amato guardandolo con la lanterna: «E lo sapesti solo allor che sparve, / l’Amore alato». Le prove, il dolore e l’inedita figura di Pan puntellano i versi; richiami verbali e ripetizioni danno struttura e creano suggestioni. E così nel finale una Psiche non più prigioniera ma «fuggitiva» è sparita dalla sua casa «donde più non esce / il tenue fumo»: sparve («alla tua casa vuota / di cui sparve il celeste alito in cielo!»), proprio come sparve Amore. Quasi ‘assunta in cielo’ («Pan l’eterno t’ha ripresa, o Psyche») ha raggiunto il suo amato in un luogo che tutti cercano e che nessuno può trovare se non nella magia eterna e sempre nuova della letteratura.