Al Consiglio direttivo della Bce vincono ancora i «falchi». Si dà un’altra stretta al credito, si conferma lo smaltimento progressivo dei titoli di stato acquistati dalle banche. I tassi. Con un altro aumento dello 0,50%, i tre tassi di riferimento, quello «principale», quello sui depositi e quello sui «prestiti marginali», saliranno rispettivamente al 3%, al 2,50% e al 3,25%.

Significa innanzitutto che le banche, sia quelle in salute che quelle in difficoltà («prestiti marginali»), pagheranno ancora più caro il denaro che prenderanno in prestito da Francoforte. Ma anche che riceveranno di più per i depositi che terranno in garanzia presso la stessa Bce (tasso sui depositi). Un incentivo a non prestare soldi con facilità. E a marzo si prevede un altro giro di vite, un altro aumento di 50 punti. Mai successo nella storia dell’euro. La presidente Christine Lagarde ha motivato tale scelta adducendo che adesso «i rischi per le prospettive di crescita economica sono diventati più equilibrati». Probabilmente avranno influito anche due dati nazionali in controtendenza rispetto al quadro europeo: quello italiano e quello spagnolo.

NEL PRIMO CASO si registra ancora un’inflazione a due cifre, nel secondo, a gennaio, la curva è tornata, anche se di poco, a salire (+5,8% su base annua, dal +5,7% di dicembre). Ma non tutti i conti tornano. Solo una settimana fa, l’italiano Fabio Panetta, che nel bureau di Eurotower guida lo schieramento delle «colombe», ammoniva che «c’è troppa incertezza nell’economia per impegnarsi preventivamente e incondizionatamente su una linea specifica», e che «oltre febbraio qualsiasi guidance incondizionata, ovvero non correlata alle prospettive economiche, si discosterà dal nostro approccio basato sui dati». Le incertezze, per l’appunto. Alle quali la stessa Lagarde, in contraddizione con la decisione assunta sui tassi, ha dovuto fare riferimento in conferenza stampa. «La guerra ingiustificata della Russia contro l’Ucraina e il suo popolo – è stata la sua conclusione – continua a rappresentare un significativo rischio di ribasso per l’economia e potrebbe nuovamente far salire i costi dell’energia e del cibo. Potrebbe anche esserci un ulteriore freno alla crescita dell’area dell’euro se l’economia mondiale si indebolisse più bruscamente di quanto ci aspettiamo. Inoltre, la ripresa potrebbe incontrare ostacoli se la pandemia dovesse intensificarsi nuovamente e causare nuove interruzioni dell’approvvigionamento».

Guerra, shock energetico, recrudescenza della pandemia. Abbastanza per temere una recessione globale. Ma la dottrina è dottrina. C’è l’inflazione? In alto i tassi. Peccato, però, che non tutte le inflazioni sono uguali. E questa europea, come la stessa Lagarde riconosce, è figlia dell’aumento dei costi di produzione, non di un accresciuto potere d’acquisto dei cittadini, come in America. Siamo «americani» per tante cose, non per l’inflazione. Ma per il partito della «stretta» questo non è un problema. E se i tassi da soli non bastano? C’è anche un altro rubinetto che si può chiudere: quello della liquidità per l’acquisto di titoli di stato ed altri asset sul mercato secondario.

LA SECONDA SPADA di Lagarde e del blocco dei paesi nordici. Da marzo, ad un ritmo di 15 miliardi al mese, l’Eurosistema inizierà infatti a disfarsi dei titoli acquistati nell’ambito del cosiddetto PAA (Programma di acquisto di attività). Venderà e non acquisterà, se non parzialmente. Salvo invece, fino al 2024, il reinvestimento dei titoli a scadenza acquistati col Piano pandemico PEPP. Le conseguenze. Per la scelta sui tassi, pagheranno innanzitutto cittadini e imprese (credito più oneroso, meno investimenti, rate dei mutui più salati), mentre le banche vedranno crescere i loro profitti. La moratoria sugli acquisti di titoli, invece, metterà pressione anche sugli Stati maggiormente indebitati. Come l’Italia. Forse anche per questo si chiede con insistenza ai Paesi recalcitranti di ratificare il nuovo trattato sul Mes. Si ritornerebbe alla «normalità». Per gli Stati in difficoltà finanziaria, prestiti condizionati a «riforme strutturali» e politiche di austerità. La «normalità» di Maastricht. Alla quale, forse, si potrà derogare soltanto se di mezzo c’è il riarmo.