La battaglia dell’Italia per il settimo mandato
Onu Al Consiglio di sicurezza, elezione dei 10
Onu Al Consiglio di sicurezza, elezione dei 10
Messa da parte la battaglia per una riforma del Consiglio di sicurezza dell’Onu, l’Italia si è fatta avanti per ottenere il suo settimo mandato come membro non permanente del CdS. Mentre scriviamo la battaglia è ancora in corso e per ora è andata male: l’Assemblea plenaria dell’Onu ha eletto nel CdS al primo turno di votazioni la Svezia, l’Etiopia e la Bolivia. La Svezia ha ottenuto 134 voti, Amsterdam 125, Roma 113. Erano dunque in ballo due seggi: uno per l’Europa occidentale – per cui restavano in ballottaggio Italia e Olanda – e uno per l’area asiatica – per cui correvano Thailandia e Kazakistan. Ma anche al secondo ballottaggio con l’Olanda, Roma ha ottenuto solo 94 voti contro i 96 dei Paesi Bassi. L’Assemblea ha aggiornato la seduta. Nel secondo turno ha invece vinto il Kazakistan sulla Thailandia.
Il Consiglio di sicurezza, organo supremo dell’Onu, ha 5 membri permanenti con diritto di veto e altri 10 a rotazione di cui 5 si eleggevano appunto ieri. Com’è noto i permanenti – Usa, Russia, Cina, Regno unito e Francia – hanno tre atout in borsa: sono i vincitori della II Guerra mondiale, son potenze nucleari, han diritto di veto. E son permanenti: lezione di evidente ingiustizia che consente loro di fare il bello e il cattivo tempo, esercitare il veto, imporre risoluzioni. Non di meno, essere nella banda dei 15 ha il suo peso. E’ li che si decidono (in parte) i destini del mondo, a cominciare dalle missioni dei caschi blu, carta che l’Italia poteva giocare grazie al fatto di essere un contribuente importante, per finire col al dossier rifugiati.
Renzi ci teneva e ha messo in piedi la sua macchina del consenso sfruttando una vecchia scuola che si deve a Francesco Paolo Fulci, il diplomatico italiano che, negli anni Novanta, tentò il colpaccio: riformare, allargandolo, il CdS. Andò male ma il consenso sul progetto in parte era rimasto. Roma si è dunque messa in lizza e doveva vedersela con Svezia e Olanda, due Paesi non così minori come sembra. Il primo in particolare è un grande donatore, motivo per il quale l’Italia ha rilanciato sui fondi per la cooperazione aumentandoli e creando l’Agenzia che, seppur “indirizzata” da un viceministro ad hoc (Mario Giro), agisce ora in autonomia e, si spera, con meccanismi più rapidi e meno farraginosi. Ma la cooperazione è solo uno dei tanti aspetti. Roma ha puntato sul suo ruolo di Paese cerniera nel Mediterraneo e sul suo attivismo in Libia, se non altro rivendicando di aver messo il cappello sull’opera di mediazione a sostegno del nuovo governo faticosamente insediato nel pasticcio libico dove, dopo un primo momento di frenesia interventista, l’Italia ha frenato mettendo da parte per ora velleità belliciste. Non è bastato.
Difficile dire se nel colloquio di due giorni fa con Angela Merkel Renzi abbia toccato il tema con un partner molto sensibile al nodo CdS e le cui mire per un posto al sole nel Gran Consiglio dell’Onu sono da sempre evidenti. Ma certo Renzi ci ha lavorato in questi mesi, convinto forse che un successo all’estero di Gentiloni potesse servire a smorzare polemiche e scontento verso il suo governo e dentro il suo partito. Non c’è, a quanto si sa, una riedizione del progetto Fulci ma la conquista del seggio per un biennio è un passo importante nella stanza dei bottoni anche se le decisioni, come ben dimostra il caso siriano, si prendono a Mosca e a Washington bypassando il Palazzo di vetro, ormai sempre più relegato a ruolo di notaio.
Raccontava un diplomatico, all’epoca un giovane allievo di Paolo Fulci, come il capo delegazione imponesse ai suoi sottoposti levatacce propedeutiche a prendere il caffè con questo o quel rappresentante di Paesi “minori”. Fu Fulci a puntare sulle piccole isole per aumentare il consenso al Coffee Club, un gruppo di pressione fondato con Paesi come Egitto, Pakistan e Messico che si proponevano una riforma del Consiglio di sicurezza per strappare ai 5 “nucleari” lo strapotere che consente loro di dettar legge o di bloccarla. Nel contempo si sbarrava il passo alla Germania che mirava a diventare il sesto “grande”. Fulci perse la partita ma creò una squadra di Paesi. Per ora non è servito.
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